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Iva Zanicchi presenta la sua saga familiare

Iva Zanicchi presenta la sua saga familiare

di Giovanna Pavesi

07 Settembre 2022, 03:01

Convivono in lei un’innata propensione all’intrattenimento spontaneo, che fa sorridere (di gusto) chiunque, e profonde radici antiche ed emiliane, che si fanno più malinconiche e serie quando i ricordi diventano concreti. Queste immagini, che evocano spazi lontani e tempi rarefatti, Iva Zanicchi li ha raccolti anche nel suo ultimo romanzo, «Un altro giorno verrà», edito da Rizzoli, che ha presentato ieri pomeriggio, a Lostello della Cittadella, in occasione di un evento organizzato dalla Libreria Mondadori Bookstore Ghiaia, intervista dal giornalista Federico Casanova. «Quando scrivo, vado a pescare sempre nelle cose che conosco, che magari non ho vissuto ma che ho sempre sentito raccontare», spiega sistemando gli occhiali scuri, che sono diventati parte della sua icona. Nel suo scritto, Attilio Vezzoli, da cui ha origine, di fatto, tutta la narrazione, sposta la sua numerosa famiglia (costituita da 11 persone) e circa 500 pecore dal paese in cui vive verso la Maremma, per la transumanza ed è da questo viaggio, che assume tanti significati diversi, che si avvia una storia più complessa.

Zanicchi, per la stesura di questo romanzo, ha attinto dall’emilianità che la connota e che porta con sé da sempre?

«Sì, sicuramente. Nel libro, che è proprio una saga familiare che attraversa il secolo scorso, l’emilianità c’è tutta: dal capostipite, che è questo Attilio, un pastore dell’Appennino Tosco-Emiliano, proveniente da un luogo che io non ho definito ma che si intuisce essere lì, fino ad arrivare alla descrizione dei miei personaggi. Di quest’uomo, per esempio, ho sempre sentito parlare dai nonni e dai bisnonni, così come della tragedia della transumanza, che era faticosissima, anche perché allora non c’erano i mezzi, per cui, queste persone facevano delle soste, che avevano risvolti anche divertenti (la notte si ballava e si cantava) ma che erano pesanti. C’è poi un altro personaggio, che amo molto, che è Tognin, figlio di Attilio, che si riscatta da quella vita durissima, e poi ci sono storie d’amore molto forti, ma c’è soprattutto la vita, con la morte e i suoi dolori, ma è un libro in cui prevalgono l’amore e la speranza».

Ha raccontato molti personaggi maschili.

«In tanti mi dicono che è un romanzo al maschile e, in effetti, è vero: io amo molto l’uomo, come nonna, come mamma, come amante e come sposa, ma sono anche profondamente donna e, infatti, vicino a questi personaggi non manca mai una donna importante. Nel libro ci sono anche storie piccanti, come è logico quando si raccontano delle storie d’amore, ma è soprattutto intriso di religiosità».

Che cosa intende?

«Soprattutto i nostri antenati erano molto poveri, ma erano anche molto attaccati alla fede e nel libro tiro sempre in ballo la Madonna di Montenero, che è un santuario vicino a Livorno, dove i pastori si fermavano a pregare, le donne soprattutto, e chiedevano che non succedesse nulla e che non morissero le pecore. È un santuario che mi è rimasto nel cuore: anche io, quando prego, mi rivolgo spesso alla Madonna del Montenero».

Che effetto le fa presentare il suo romanzo, tutto emiliano, a Parma?

«Questa è l’ultima presentazione, per ora, poi mi prendo qualche giorno di pausa prima di iniziare le prove di Ballando con le Stelle (a cui parteciperà, ndr), che al solo pensiero mi vengono tutti i dolori addosso (ride, ndr). Qui a Parma, comunque, ho tanti amici e all’inizio di questo mio fantastico lavoro la frequentavo, poi il mio primo fidanzatino abitava a Parma, perché studiava all’università (sorride, ndr) e quindi conservo tanti ricordi. Questa città è poi bellissima e distinta e la gente è molto raffinata, ma al di là di questo, è culturalmente molto viva, ha un teatro splendido nel quale, prima o poi, vorrei fare un bel concerto. Che ne dice? Non dipende da me, ma un appello lo facciamo, poi si vedrà».

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