CULTURA
Nell’italiano parlato dell’uso settentrionale per dire ‘fare una brutta figura, fare una figuraccia, fare una figura meschina o barbina’ ci sono due scherzosi modi di dire, molto simili fra loro, che si contendono la primogenitura: fare una figura da cioccolataio e fare una figura da cioccolatino.
Solo il primo, forte dell’appoggio dei dialetti di prestigiose città metropolitane come Torino e Milano che conoscono solo il tipo ‘fare una figura da cioccolatiere (ovvero da cioccolataio)’ come il torinese fè na figura da ciculaté e il milanese fà ona figura de cicolattee, ha il privilegio d’essere registrato nei più autorevoli dizionari della lingua italiana. Del secondo, se non ho visto male, non si trova traccia.
Anche se, a onor del vero, nell’italiano familiare delle nostre contrade emiliane occidentali, ex terre ducali parmigiane e piacentine, la locuzione fare una figura da cioccolatino, molto più di fare una figura da cioccolataio (o da cioccolatiere), è vivissima tutt’oggi quale puntuale adattamento del dialettale parmigiano fär na figura da cicolatén (vd. Guglielmo Capacchi Dizionario italiano-parmigiano, vol. I, Parma, s.v. figura) e del piacentino fä la figura dal ciculatein, vd. Guido Tammi, Vocabolario piacentino-italiano, Piacenza 1998.
Sulla motivazione dell’italiano fare una figura da cioccolataio si è sguinzagliata la fantasia interpretativa di molti. Si è voluto vedervi persino "un certo disprezzo diffuso nei confronti dei cioccolatai" e questo per via delle figure rappresentanti “poveri negri” carichi di sacchi di cacao che i cioccolatai esponevano volentieri nelle loro vetrine o per il brutto aspetto dei cioccolatai stessi, col loro grembiule sporco di macchie di equivoco colore. Secondo Ottavio Lurati, Dizionario dei modi di dire, Milano 2001, p. 311 il modo di dire conterrebbe persino "un'eco (e un giudizio) sul modo di comportarsi dei venditori di cioccolata calda nei caffè di un tempo, che spesso commettevano delle topiche parlando con persone distinte".
Su tutte le ipotesi sino ad oggi avanzate sembra avere avuto la meglio quella piacevolmente aneddotica (già fornita da Alberto Viriglio nel suo fortunato Voci e cose del vecchio Piemonte, Torino 1917), che oggi campeggia trionfante sul Web. L’ipotesi vorrebbe legare il modo di dire fare la figura del cioccolataio niente meno che alla figura di Carlo Felice di Savoia, dal 1821 re di Sardegna. Anche nel recente Dizionario dei modi di dire della lingua italiana, Milano 1993, pp. 198-99 di B. M. Quartu, s.v. figura, si afferma senza ombra di dubbio che l’origine del modo di dire “risale a un aneddoto storico che vede protagonista Carlo Felice di Savoia”.
Vi si legge tra l’altro che “Nel 1823, in clima di Restaurazione, un ricco fabbricante di cioccolato girava per le vie di Torino in una carrozza più sontuosa di quella del re. Infuriato Carlo Felice avrebbe esclamato “Quando esco in carrozza non voglio fare la figura di un cioccolataio!”.
Peccato che il modo di dire milanese fa ona figura de cicolattee propr. ‘fare una figura da cioccolatiere (o cioccolataio)’ sia già registrato da Francesco Cherubini nel suo Vocabolario milanese-italiano del 1814, il che costringe a rinunciare a malincuore alla sua origine dal fortunatissimo e piacevole aneddoto sabaudo.
Aneddoti a parte, a proposito della motivazione di fare una figura da cioccolatiere (o da cioccolataio) e di fare una figura da cioccolatino una cosa è certa: che sia cioccolataio sia cioccolatino hanno a che fare curiosamente con la cioccolata e che la cioccolata (lo sanno anche i bambini) può essere facilmente scambiata – absit iniuria verbis – con una brutta cosa come la cacca (cfr. il volgare italiano fare una figura di merda ‘fare una brutta figura’ e l’eloquente volume di Roberto Esposito intitolato proprio Figure di merda, Milano 2012). Poco tempo fa mio figlio mi ricordava divertito che il suo piccolo Luca (avrà avuto tre anni) durante le loro vacanze al mare, vedendo un giorno galleggiare una strana cosa sull’acqua limpida e ferma tra gli scogli dove stava facendo il bagnetto, gli aveva chiesto incuriosito: - Papà, che cos’è cioccolata?
Tutto questo per dire che con ogni probabilità, anche se la cronologia delle poche attestazioni scritte di queste locuzioni popolari parla a favore della priorità del tipo ‘fare una figura da cioccolatiere’ (poi ulteriormente italianizzato in fare una figura da cioccolataio), la primogenitura tra i due modi di dire spetterà a ‘fare una figura da cioccolatino’. Ma a questo punto devo spiegarmi meglio, anche se mi rendo conto che l’argomento non è dei più edificanti.
È pur vero che il modo di dire del tipo ‘fare una figura da cioccolatino’, ancor oggi comunissimo in bocca a noi abitanti dei territori degli ex ducati di Parma Piacenza e Guastalla, stranamente non compare nei nostri vocabolari dialettali dell’Ottocento, mentre il milanese fà ona figura de ciccolattee, propriamente 'fare una figura da cioccolataio (o cioccolatiere)', è già registrato nel Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini (a. 1814) e il piemontese fè na figura da cicolatè è già nel Disionari piemonteèis, italian, latin e fransèis, 3 voll., di Casimiro Zalli, Carmagnola 1815. Lo stesso tipo del resto è anche ligure, cfr. per es. lo spezzino fa a figüa de cicolateo, vd. Mario Niccolò Conti e Amedeo Ricco, Dizionario spezzino, La Spezia 1975; a Levanto (SP) fa a figüa du ciculaté, vd. Aldo Viviani, Vocabolario del dialetto levantese, Genova 1991; ecc. La cronologia delle attestazioni scritte suggerirebbe insomma di considerare senz’altro prioritario ‘fare la figura del cioccolatiere (o del cioccolataio)’. Sennonché l’assenza del tipo ‘fare una figura da cioccolatino’ sia nei nostri vocabolari dialettali ottocenteschi sia in quelli della lingua italiana induce quanto meno ad un sospetto: che quest’assenza non sia giustificata dalla sua effettiva inesistenza nelle parlate locali ma a ragioni eufemistiche, vale a dire ad un silenzio “occultativo” suggerito dalla buona creanza dei nostri lessicografi. Al riguardo non andrà dimenticato un fatto, per la verità non propriamente memorabile, ma molto significativo. Che con la parola ‘cioccolatino’ nelle parlate emiliane e lombarde del primo Ottocento (cfr. parm. cicolatén, mil. cicolattìn) non s’intendeva soltanto il cioccolatino oggi più comunemente noto (termine dolciario allora non ancora entrato né in toscano né nell’italiano comune, tanto che il Malaspina traduceva ancora il parm. cicolatén con “Pastica [sic] di cioccolata, che taluno chiama anche Panellino e Girello. Sorta di pastiglia per lo più di forma rotonda”) ma anche, figuratamente, bassamente e scherzosamente, ben altra cosa. Cfr. per es. il milanese cicolattin “Ano’ sinonimo di cuu (vd. Cherubini 1814) e il parm. cicolatén (cfr. “cicolatèin” nel Peschieri del 1836 “Bossolo delle spezie. Forame. Culo” e “cicolatén” nel Malaspina, a. 1856, “in modo basso fig. Preterito, Deretano, Forame, Bossolo delle spezie”. È dunque ragionevole pensare che lo scherzoso modo di dire ‘fare una figura da cioccolatino’, sentito certamente nelle nostre contrade impudiche come l’esatto equivalente di ‘fare una figura da culo’ o di ‘fare una figura di merda’, sia stato educatamente ignorato dai nostri prudenti lessicografi locali. Ma non è affatto da escludere che proprio ad un basso e poco elegante parmigiano “di strada” come fär na figura da cicolatén ‘fare una figura da culo’, ‘fare una brutta figura’, si siano ispirati altri dialetti contermini (lombardi e piemonesi) che sulle piazze dei nostri mercati e tra i fumi delle nostre osterie saranno venuti facilmente a contatto anche con gli accenti più bassi del dialetto parmigiano e avranno potuto trasformare il nostro ‘fare una figura da cioccolatino’ in un ‘fare una figura da cioccolataio’. Molto facile del resto doveva riuscire la possibilità di confondere o di correggere volutamente un originario parmigiano cicolatén nel significato basso e scherzoso di ‘culo’ con un parafonico più corretto ed elegante lombardo o piemontese cicolattée ‘cioccolataio’.
A rivendicare (senza orgoglio) la priorità del nostro ‘fare una figura da cioccolatino’ rispetto a ‘fare una figura da cioccolatiere (o cioccolataio)’ m’induce non solo la sua puntuale sinonimia con l’attuale popolarissimo italiano locale fare una figura da culo, parm. fär na figura da cùl, ma anche con il comunissimo moderno italiano fare una figura di merda. Sull’estrema contiguità tra i “concetti” di ‘ merda’ e di ‘ culo’ “parole non ci appulcro” per dirla con Dante ( Inf. VII, 60), ma –se mai ce ne fosse bisogno– si veda per es. il modo di dire milanese vess tra la merda e l cuu ‘essere tra l’incudine e il martello’, nel senso di ‘essere in una situazione di estrema incertezza’, vd. Cherubini. Quel cambio di suffisso che avrà portato verosimilmente a deformare un originario e troppo sfacciato parmigiano ‘ fare una figura da cioccolatino’ in un ‘ fare una figura da cioccolatiere’ (e poi anche a ‘ fare una figura da cioccolataio’) avrà consentito il libero accesso del modo di dire anche nell’italiano parlato delle persone per bene e gli avrà garantito un posticino all’interno dei vocabolari della nostra lingua. A facilitare il passaggio da ‘ cioccolatino’, nel suo significato figurato, corporale, basso e scherzoso di ‘culo’ (cfr. parmigiano cicolatén, milanese cicolattin) a ‘cioccolatiere’ ‘cioccolataio’ nel senso di ‘chi fa la cioccolata’ sarà stata un’altra favorevole circostanza: la possibilità di intendere divertitamente il suffisso -ino di ‘cioccolatino’ non tanto come un suffisso diminutivo di ‘cioccolato’ o ‘cioccolata’ (intendendo dunque la parola come ‘piccolo pezzo di cioccolato o di cioccolata’) ma come un suffisso d’agente (o. se preferite, agentivo) proprio come l’it. ‘-aio’ o ‘-iere’, cioè come un formativo di nome di mestiere, di un mestiere umile (come per es. carbonino per carbonaio ecc.) quasi che cioccolatino fosse giunto al significato scherzoso di ‘culo’ attraverso quello di fabbricante di metaforica cioccolata, di umile “cioccolataio”.
Secondo un grande filologo come Giorgio Pasquali (vd. “Lingua Nostra” 9, p. 42) in italiano il suffisso d’agente ‘-ino’ è usato in prevalenza per le “artes sordidae” , cioè per i mestieri sporchi. E quale potrebbe essere un mestiere più “sordido”, di quello di un cioccolatino inteso divertitamente come un umile fabbricatore, o fabbricante, di metaforica “cioccolata”? Sarà forse il caso di ricordare che nel baccagghiu, cioè nel gergo palermitano, il culo è chiamato scherzosamente fabbrica 'i cicculatti, cfr. Franca Ageno, Studi lessicali, a cura di P. Bongrani, F. Magnani, D. Trolli, Bologna 2000, p. 475.
Se poi nell’italiano parlato settentrionale la locuzione fare una figura da cioccolataio – per quanto mi risulta – è oggi poco usata, mentre la variante fare una figura da cioccolatino, quanto meno nelle nostre contrade emiliane occidentali, è ancora vivissima, sarà anche perché cioccolatino, molto più di cioccolataio (specialmente da quando la sua figura insieme a quella della sua pittoresca bottega, è scomparsa dalle nostre città), si presta ad essere innocentemente reinterpretata e rimotivata. Come se il cioccolatino del nostro modo di dire non avesse più niente a che fare col suo molto probabile originario significato metaforico basso e scherzoso ma alludesse solo e soltanto ad uno di quei classici dolcetti di cioccolato oggi comunemente noti come cioccolatini, quelli che che lussuosamente vestiti di carta stagnola lustra e colorata, perfettamente allineati, quasi irregimentati dentro le caselle di dorate magnifiche scatole, fanno bella figura di sé nelle vetrine delle nostre pasticcerie. Belli, bellissimi ma fatalmente e miseramente destinati a fare una figura meschina. Ad essere spogliati della loro veste pretenziosa e ad essere golosamente succhiati e ingoiati in men che non si dica.
Giovanni Petrolini
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