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Intervista

Federico Mecozzi, talento del violino: «Iniziai suonando De André»

Federico Mecozzi, talento del violino: «Iniziai suonando De André»

di Marco Cortesi

07 Ottobre 2022, 03:01

Federico Mecozzi torna con il suo nuovo album «Inwards» (Warner Music Italy) in uscita oggi ed anticipato dal brano «The end of the day»: il disco verrà presentato dal vivo in tour a partire dal Teatro Nuovo di Salsomaggiore domani, data della prima nazionale. Federico Mecozzi, nato a Rimini nel 1992, è violinista, compositore e polistrumentista. All’età di sei anni inizia a suonare la chitarra e a scrivere le prime canzoni.

A dodici intraprende il percorso accademico all’Istituto Musicale «G. Lettimi» di Rimini, dove studia violino. Poi si forma anche come direttore d’orchestra e arrangiatore. Dal 2009 affianca stabilmente il celebre compositore e pianista Ludovico Einaudi, che accompagna tuttora dal vivo in lunghe tournée nei più prestigiosi teatri e arene del mondo (Royal Albert Hall, Sydney Opera House, Carnegie Hall, Philharmonie Berlin per citarne alcuni), oltre che nella realizzazione dei dischi come musicista e assistente musicale. È stato inoltre il più giovane direttore d’orchestra del Festival di Sanremo nelle edizioni 2019 (per Enrico Nigiotti) e 2021 (per Dellai) e uno dei più giovani di tutti i tempi. Nel gennaio 2019 è uscito «Awakening», album del suo debutto solista.

Abbiamo approfittato della data «zero» in terra parmense per farci raccontare in anteprima cosa si cela dietro il suo nuovo progetto.

Federico, cosa ci dobbiamo aspettare da questa “prima”?

«È sempre difficile descrivere la propria musica, sicuramente sarà l’occasione per presentare ''Inwards'' che, come suggerisce lo stesso titolo, è un’analisi delle sensazioni interiori che tutti abbiamo sperimentato durante il lockdown non avendo stimoli esterni. Sarà un live molto dinamico, con sei musicisti sul palco, proveremo a riprodurre quell’atmosfera che è l’essenza del disco spaziando però anche verso l’elettronica e le percussioni che regaleranno un tocco più contemporaneo allo spettacolo».

I tuoi due primi album sono entrambi dei concept, una scelta in netta controtendenza rispetto a un mercato musicale che sempre più spesso strizza l’occhio all’immediatezza e non alla qualità, tu vedi possibile un ritorno a questo stile?

«Commercialmente lo trovo difficile, è qualcosa legato più al cantautorato ma sarebbe davvero fantastico, per me ogni disco rappresenta un viaggio. Nel caso della musica strumentale questo risulta più facile vista l’assenza di testo, a me piace spiegare l’idea dell’album ma vorrei anche che l’ascoltatore poi lo facesse emozionalmente suo».

La musica ha fatto breccia nella tua vita quando eri solo un bambino, cosa rappresenta oggi?

«I miei genitori non sono musicisti ma grandi appassionati, ho iniziato a suonare la chitarra per imparare le canzoni di Fabrizio De André che ha rappresentato insieme a Franco Battiato uno dei miei punti di riferimento. Quando ho deciso di iscrivermi al conservatorio ho scelto il violino, uno strumento che richiede una dedizione quotidiana, è nato un amore viscerale con questo strumento che mi ha portato a trasformare una passione in un lavoro grazie alla meravigliosa collaborazione con Ludovico Einaudi che perdura da più di un decennio e che mi permette di girare il mondo, suonando ogni volta in location meravigliose».

Grazie alle piattaforme streaming e ai social molte volte si assiste al ritorno in tendenza di brani del passato, come analizzi questo fenomeno da musicista?

«A mio parere il problema non è generazionale, spesso quello che viene proposto è ''esageratamente pop'' e quindi è l’offerta ad essere inadeguata, vediamo che attraverso i reels o Tik Tok c’è il ritorno in auge di brani della classica o della classica contemporanea, come ad esempio i brani di Einaudi, quindi sicuramente queste piattaforme rappresentano un canale importante di divulgazione. Quando ai miei concerti vedo ragazzi giovani o ricevo messaggi da loro e scopro di averli attratti con il violino, sono felicissimo perché è la dimostrazione che anche la strumentale è capace di fare breccia tra i ragazzi».

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