MALTRATTAMENTI
Una stazza imponente. E lei uno scricciolo. Così possente, lui, che con un paio di calci era riuscito a sfondare una porta blindata. L'ultimo atto di una storia che troppo presto aveva cominciato ad offuscarsi: domande sempre più assillanti su chi lei incontrasse, fino a veri e propri interrogatori, critiche e insulti. Le liti, poi, spesso finivano con schiaffi e spintoni. E Roberta (la chiameremo così) cercava solo di proteggere e consolare i due figli piccoli che spesso dovevano assistere a tutto ciò. Dieci anni in bilico su quella corda tesissima, durante i quali Roberta ha tentato di resistere, ha creduto a promesse, alle sue stesse illusioni. Fino a quella porta abbattuta a casa della sorella che l'aveva ospitata e l'aggressione. Eppure, fino al processo, ha continuato a ripetere al suo avvocato «non voglio rovinarlo». Ma ieri il suo racconto di quegli anni di violenza è stato creduto: l'ex marito, 38enne, senegalese, è stato condannato a 2 anni, 8 mesi e 10 giorni (con rito abbreviato) per maltrattamenti e lesioni.
Il risarcimento alla donna, che si era costituita parte civile, sarà stabilito in sede civile, ma il giudice le ha riconosciuto una provvisionale di 10mila euro, come richiesto dall'avvocato Daniele Carra.
Nessuna attenuante, eppure per più di un'ora lui ha cercato di allontanare da sé le accuse rispondendo alle domande di giudice, pm e avvocati. E' arrivato accompagnato dai poliziotti della Penitenziaria, perché dopo non aver rispettato il divieto di avvicinamento, scattato lo scorso febbraio, era finito in carcere. Doveva starsene lontano da Roberta e dall'abitazione, invece se ne andava a dormire nel garage e nella cantina di casa.
Già dieci anni fa Roberta aveva cominciato ad allarmarsi: quel controllo di ogni aspetto della sua vita e le umiliazioni avevano fatto scattare i primi dubbi su quell'uomo che aveva amato e deciso di sposare. E nel tempo, fino allo scorso febbraio, i soprusi si erano moltiplicati. Una lunga serie di episodi più o meno gravi, ma legati da un unico (squallido) comune denominatore: era lui il regista della vita familiare e non bisognava contestarlo. Allora, anche la scelta di un programma televisivo non gradito poteva far scattare una reazione violenta, con il telecomando scaraventato sulla testa della moglie. Lei che doveva sopportare anche i suoi interminabili monologhi infarciti di accuse e quando si pigiava le mani sulle orecchie, lui la costringeva a sentire mettendole anche una mano sulla bocca per non farla urlare. E poi quelle continue minacce per rimanere nella casa di famiglia. La casa di Roberta, in realtà.
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