L'intervista
La Wimore si coccola il suo «gigante». E Bara Fall lo è, per l' imponente stazza fisica (201 cm di altezza) ma anche per le sue qualità. Che hanno «stregato» il pubblico di Parma, domenica scorsa al Palaraschi.
Il centrale classe 1997, nato a Dakar (Senegal) ma in Italia da quando aveva 4 anni, è stato infatti tra i migliori dei suoi nel primo storico successo in A3 della Wimore, contro Garlasco. Per lui 18 punti e 7 muri collezionati, con una prestazione in crescendo nell'arco dei cinque set.
E pensare che questa partita, Bara ha rischiato di non poterla giocare: «colpa» di un vuoto normativo che in A3 – a differenza di tutte le altre categorie, dalla Superlega in giù – per il tesseramento di un giocatore tiene conto del passaporto (Fall non ha ancora la cittadinanza italiana, ndr) e non già dello «status» sportivo. Perché Bara, dal punto di vista federale, è italiano a tutti gli effetti, dal momento che il suo primo tesseramento è avvenuto nel nostro Paese.
Per mettere le cose a posto è stata necessaria una delibera ad hoc, emanata dal consiglio federale.
«Una situazione che non mi era mai capitata, in precedenza» ammette Fall, cresciuto nelle giovanili di Piacenza e che ha poi militato in serie C e B fra le fila di Ongina, con una parentesi in A2 alla Tuscania Volley.
«Sono rimasto però sempre tranquillo e concentrato sugli allenamenti – riprende –, nella convinzione che la società avrebbe risolto tutto».
Si aspettava un debutto del genere?
«Così, in realtà, no. Anche se ero consapevole che potevamo far bene. Sono felice per il contributo che ho dato, ma in campo non ero da solo: la vittoria è stata frutto di una prestazione corale e di una reazione di spessore».
Come si trova a Parma?
«Si vive benissimo. Essendo cresciuto nel Piacentino, in passato mi era capitato di visitarla, Parma, e l'avevo apprezzata. Per non parlare della cultura pallavolistica che si respira, qui: giocare al Palaraschi mette i brividi, tutto profuma di storia».
E il suo processo di inserimento alla Wimore, come procede?
«Mi ritengo fortunato: la società è solida e con un progetto ambizioso. Del gruppo, poi, conoscevo già alcuni ragazzi, come Cuda e Rossatti. Con Cereda ho condiviso l'esperienza ad Ongina, mentre Codeluppi faceva parte della prima squadra quando io ero ancora nelle giovanili».
Come si è avvicinato alla pallavolo?
«L'ho fatto un po' tardi, a 16 anni, dopo aver praticato atletica leggera e calcio: una mia insegnante delle superiori, Marzia Grandi, che allenava nel settore giovanile dell'allora Copra Piacenza, mi ha spronato a provare. Ho iniziato proprio con loro, subito nel ruolo di centrale».
Ha un modello cui si ispira?
«Robertlandy Simón, centrale di Piacenza: un giocatore completo».
La descrivono come un ragazzo solare, intelligente, con una grande cultura del lavoro. A Bara Fall cosa piace fare nel tempo libero?
«Le cose di tutti i giovani della mia età: ascoltare la musica, rap e hip hop sono i miei generi preferiti, uscire con gli amici. E poi collezionare scarpe, sia sportive che da passeggio. Per il futuro, ho anche un altro desiderio: completare gli studi».
La sua famiglia?
«Papà è in Italia dal 1993, per lavoro: io, mamma e mia sorella lo abbiamo raggiunto dopo. Qui stiamo benissimo. Peccato che domenica scorsa non fossero al Palaraschi, ma hanno seguito la diretta streaming della partita».
Ha ricevuto tanti messaggi?
«Sì. Uno di questi me lo ha mandato Massimo Botti, allenatore che ha giocato anche nella Maxicono. A lui devo tantissimo: mi ha lanciato in prima squadra ad Ongina e consigliato di venire a Parma».
Quali obiettivi si è dato per questa stagione?
«Disputare un bel campionato e raggiungere una tranquilla salvezza».
Alla Nazionale ci pensa, ogni tanto?
«Sono legato alle mie origini senegalesi. Ma mi sento italiano, perché è qui che sono cresciuto. Indossare la maglia azzurra è un mio sogno nel cassetto».
Vittorio Rotolo
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