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LINGUA E DIALETTO

Spaghetti, parola nata a Parma?

Spaghetti, parola nata a Parma?

di Giovanni Petrolini

20 Ottobre 2022, 03:01

La galassia alimentare degli spaghetti sembra inesauribile. È di oggi l’avvento dei nuovissimi spaghetti al bronzo, ultimi nati della grande famiglia della pasta lunga essiccata Barilla (quella, per intenderci, delle bavettine, dei bucatini, dei capellini, delle linguine, delle reginette, delle tagliatelle). La loro novità non consiste nella loro forma, che resta quella tradizionale a sezione tonda, ma nella trafilatura in bronzo (invece che in plastica, in teflon), che ne caratterizza la fabbricazione e ne rende la superficie meno liscia, più porosa e dunque più capace di trattenere il sugo o altro condimento che li accompagni.

L’universo degli spaghetti

Gli spaghetti al bronzo, nuova stella nel firmamento delle nostre paste per minestra, rientrano dunque tra quelle varietà di spaghetti (per la verità non molte) che col loro nome accennano alle particolari modalità tecniche con cui si fanno. Un po’ come con spaghetti alla chitarra in varie parti dell’Italia centro meridionale si designano speciali spaghetti di sezione quadrata che si fanno ancora, come una volta, ricorrendo alle corde di uno speciale strumento artigianale simile a una chitarra.

Basta tuttavia scorrere i menù dei nostri ristoranti per accorgersi che per una facile trasposizione di tipo metonimico (direbbero i linguisti), la parola spaghetti, variamente accompagnata da un elemento “determinante”, è passata a designare gli innumerevoli e variegatissimi primi piatti di pastasciutta che si preparano con questa pasta. Già l’ Artusi nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (a. 1891) annoverava Spaghetti colle acciughe, Spaghetti coi naselli, Spaghetti col sugo di seppie, Spaghetti da quaresima, Spagetti alla rustica, Spaghetti coi piselli, Spaghetti con la balsamella [’besciamella’]. Ci sono quelli che col loro nome accennano agli ingredienti che ne costituiscono il condimento caratterizzante: spaghetti al burro, al pomodoro, alle vongole, alle arselle, alle cozze (ovvero ai muscoli della Liguria, o ai peoci del Veneto, o ai moscioli delle Marche), alla bottarga, ecc.; altri che accennano al territorio che ne rivendica la provenienza della ricetta (dai celeberrimi spaghetti all’amatriciana (o alla matriciana) cucinati cioè come si cucinano ad Amatrice, RI, a quelli alla Nerano cucinati come si cucinano a Nerano, fraz. di Massa Lubrense, NA, sino ai più generici spaghetti alla napoletana; altri ancora che accennano al pittoresco ambiente umano dove ne sarebbe stata escogitata una particolare preparazione: dai famosi spaghetti alla carbonara, cucinati cioè alla maniera dei carbona(r)i, ovvero dei boscaioli addetti alla preparazione del carbone; agli abruzzesi spaghetti alla trappitara, preparati alla maniera dei trappitari, cioè dei lavoratori dei frantoi delle olive; agli spaghetti alla carrettiera; sino agli spaghetti alla puttanesca, che sarebbero stati inventati (il condizionale è d’obbligo) dal tenutario (o la tenutaria) di una casa di tolleranza per intrattenere amabilmente i suoi clienti. I pugliesi, e in particolare baresi, spaghetti all’assassina naturalmente non alludono a come li mangiano gli assassini ma accennano scherzosamente al loro feroce piccantezza

Una denominazione d’origine parmigiana.

Sull’etimologia del nome di questa celeberrima pasta secca lunga e sottile non ci piove. Si tratta evidentemente di un diminutivo di spago ‘corda sottile, filo’. Nel senso particolare di ‘filo adoperato dai calzolai’ l’italiano spago figura già per es. in Dante, Inferno XX 119: “Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente,/ ch’avere inteso al cuoio e a lo spago/ ora vorrebbe, ma tardi si pente”). Gli spaghetti saranno stati chiamati così evidentemente per la loro caratteristica forma simile a quella di piccoli spaghi, spaghi come quelli di cui certo s’intendeva il povero Asdente, mitico calzolaio parmigiano vissuto ai tempi di Dante, che, condannato all’inferno, troppo tardi avrebbe voluto continuare ad intendersi di spago facendo il calzolaio, invece d’occuparsi colpevolmente d’altro, di profezie e d‘arte divinatoria.

Ma torniamo agli spaghetti da cui siamo partiti. L’affettuosa attenzione che il parmigianissimo marchio Barilla dedica oggi ai suoi spaghetti al bronzo, suoi ultimi nati, a ben vedere ha insospettabili e profonde radici parmigiane. Ho infatti qualche serio motivo di ritenere che questa italianissima e oggi planetaria pasta per minestra sia stata battezzata col nome di spaghetti proprio qui, a Parma, dove la Barilla è di casa, e non altrove. Se infatti è vero che l’origine di questo genere di pasta si perde - è proprio il caso di dirlo - nella notte dei tempi e che in Italia avrà conosciuto verosimilmente tra i suoi più antichi antenati i medievali vermicelli siciliani (vd. Silvano Serventi e Françoise Sabban, La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Roma-Bari 2004), e se è vero che a Napoli e dintorni (dove tuttavia gli spaghetti ancor oggi e da secoli sono chiamati tradizionalmente ‘maccheroni’) se ne rivendica una speciale territorialità, è anche vero che la denominazione di spaghetti - ed è questo che mi ha spinto a parlarne in questa sede – si sarà imposta in Italia e nel mondo non tanto muovendo da una antica voce di origine orientale, importata in Italia nel Duecento dalla Cina dal nostro esploratore veneziano Marco Polo come racconta una fortunatissima fake a proposito della loro “vera storia”, ma muovendo proprio – audite audite – dal parmigiano spaghètt. Origine dunque molto più domestica, più recente e molto meno suggestiva di quella vulgata ma certamente più vera.

Un’attenta ricognizione all’interno dei nostri maggiori lessici dialettali e italiani, ci consente infatti di affermare che spaghetti, come nome di pasta per minestra, è con ogni probabilità una denominazione d’origine parmigiana. Prima che in italiano, dove la parola risulta attestata per la prima volta tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento nell’opera del lessicografo e naturalista torinese Giacinto Carena, e prima che in altri dialetti italiani (prima che in veneziano, in milanese, in genovese, in torinese ecc.) il tipo‘spaghetti’, come nome di pasta per minestra, s’affaccia alla ribalta della storia gastronomica italiana nel Dizionario Parmigiano-italiano di Ilario Peschieri. Qui, nel 1828, i parmigiani “Spaghètt da far in mnèstra” propriamente ‘Spaghetti da fare in minestra’ sono già registrati come sinonimo di “vermizzoeu” [‘vermicelli’] circa vent’anni prima che in italiano gli spaghetti fossero nominati per la prima volta dal Carena Ma c’è di più. Il parm. spaghètt, figura più tardi (a. 1858) tra i nomi delle “Paste per minestra” anche nel Vocabolario Parmigiano-italiano di Carlo Malaspina (vol. III, p. 235) e qui – cosa che più conta ai fini del nostro assunto –, la voce è da lui tradotta in italiano – si badi bene – non con spaghetti, come ci saremmo aspettati, ma con un oscuro sinonimo tosc. “Spilloncini”. Segno evidente che ai tempi suoi la parola, già ben viva in parmigiano come spaghètt, non s’era ancora affermata in italiano tanto da apparirgli ancora troppo scopertamente dialettale, troppo “parmigiana”..

Solo un anno dopo (a. 1859), nel IV volume del suo Vocabolario , p. 163, il Malaspina si sarebbe deciso finalmente a tradurre il parm. spaghètt con l’it. spaghetti (non senza avvertire la necessità di precisare per chi non fosse parmigiano “Sorta di paste tonde lunghe e sottili e non forate per lo lungo”).

Ce n’è abbastanza insomma per ritenere che la parola spaghetti, oggi emblema e “blasone” gastronomico degli Italiani nel mondo, come in un recente passato già lo furono i maccheroni parola sulla quale mi permetto di rimandare al mio contributo, sonosciuto ai più, Gnocchi, Gnocche e Maccheroni. Nuove letture, in A.A. VV, Storia della lingua e storia della cucina, Atti del VI Convegno ASLI Associazione per la storia della lingua italiana (Modena, 20-22 settembre 2007, a cura di Cecilia Robustelli e Giovanna Frosini, Firenze 2009, pp. 513-29, in particolare 519-29) sia da considerare non solo un parmigianismo dell’italiano ma un parmigianismo planetario. E che anche gli spaghetti (come le trenette. le tagliatelle, i tortellini, i cappelletti , le fetuccine, i bucatini, i rigatoni, i fusilli) si possano, anzi si debbano, aggiungere a buon diritto all’elenco dei nomi italiani delle paste per minestra presi in prestito dai nostri dialetti e già piacevolmente inventariati dall’amico e compianto Paolo Zolli nel suo Le parole dialettali. Con i dialetti dalle Alpi al Lilibeo, Milano 1986.

Giovanni Petrolini

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