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TEATRO

Il generale Garofano contro la violenza sulle donne

Il generale Garofano contro la violenza sulle donne

di Giovanna Pavesi

24 Novembre 2022, 03:01

«Dobbiamo puntare a una rivoluzione culturale che transita attraverso l’educazione: abbiamo abdicato ai processi educativi che consentano ai nostri ragazzi di crescere nel rispetto, nella solidarietà, nell’amicizia e nel riconoscimento della diversità».

Luciano Garofano, ex comandante dei Ris di Parma, quando parla di violenza di genere non ha dubbi e sottolinea l’importanza dell’educazione: «Le due principali agenzie educative, la scuola e i genitori, colloquiano poco. Come pensiamo che i nostri giovani crescano sani dal punto di vista delle relazioni se noi non gli diamo dei riferimenti precisi? Questa è la rivoluzione che dovremmo compiere».

Anche per questo motivo, stasera alle 21, porterà in scena, al Teatro al Parco, «LDM-Labirinti del male», lo spettacolo scritto insieme a Elisa Barbieri e interpretato con l’attrice Giorgia Ferrero, tratto dal suo libro omonimo, che racconta (anche) i risvolti sociali della violenza sulle donne (la regia è di Alessandro Molinari).

Generale, quanto ha inciso la sua esperienza professionale nella stesura dello spettacolo?

«Indubbiamente molto, perché occupandomi di casi che hanno spesso epiloghi drammatici, come l’omicidio, non solo ho avuto la possibilità di ragionare su quello che è poi possibile fare quando avvengono questi fatti, ma anche di cercare di sviluppare delle riflessioni sulla prevenzione. La possibilità, ahimè, di confrontarmi con tante tragedie e fatti gravi ha sviluppato in me la voglia di dare un contributo a fini preventivi, cioè come frenare e contrastare questo fenomeno».

Nello spettacolo si parla di stalking, di diverse dinamiche familiari e social network. Quali sono gli elementi sottovalutati dalle potenziali vittime?

«Credo ci sia, di fondo, grande egoismo e superficialità: i valori dell’amicizia e della comprensione mi sembrano affievoliti e quindi è chiaro che una vittima di violenza, che di per sé vive già una situazione di isolamento, faccia più fatica a denunciare e a farsi comprendere. Se non è aiutata nell’ambito amicale o familiare, che spesso è anche la stessa scena del crimine, e se questi segnali non vengono intercettati, compresi e denunciati il prima possibile, purtroppo, ci troviamo a confrontarci con numeri che sono allarmanti. Questo spettacolo, in fondo, vuole far aprire gli occhi alle donne: attenzione, i segnali e gli indicatori del rischio ci sono, non cadete nella trappola di pensare che la gelosia morbosa, per esempio, sia amore, perché è violenza non amore. Parliamone, affinché non solo le potenziali vittime siano ricettive, ma soprattutto lo siamo noi adulti, formatori, genitori, professori, perché è necessaria una reazione sociale totale».

C’è stato un caso che, nella sua carriera, l’ha colpita più di altri?

«C’è una variabilità e una costanza nel ripetersi dei fenomeni che è disarmante. Se vado a vedere i casi dell’altro ieri, mi rendo conto come tutto si riproponga e questo mi duole e mi preoccupa. Spesso ci confrontiamo con casi in cui era partita la denuncia e l’indagine, come è accaduto con Alessandra Matteuzzi (uccisa a Bologna dall’ex fidanzato), ma per cui è arrivato prima il coltello o il martello che non la legge e questo mi sconvolge. Se non pensiamo che questo è un fenomeno sociale talmente grave che richiede numeri e organici di persone che se ne occupino, come è avvenuto per altre tipologie di reato, continueremo, ogni anno, a confrontarci con queste tematiche e saremo sempre punto e a capo».

Giovanna Pavesi

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