OMICIDIO PRETERINTENZIONALE
Una giovane donna in tailleur. Capelli lunghi e curati. Annota qualche appunto quando il pubblico ministero pronuncia la requisitoria davanti alla Corte e sembra non smarrirsi mai. Sguardo attento anche quando il pubblico ministero evoca l'immagine straziante del piccolo arrivato in ospedale già morto. Eppure, è lei che il 4 aprile 2018 ha fatto ingerire del metadone a suo figlio di 18 mesi. E' il punto (unico) che unisce accusa e difesa sulla ricostruzione di quel giorno drammatico. Ma ci fu la volontà di somministrare la sostanza o fu un tragico errore? Uno sbaglio, per il suo difensore, perché la mamma - 40enne parmigiana - sarebbe stata convinta che nella boccetta ci fosse solo della tachipirina, in soluzione liquida, altra sostanza che poi verrà effettivamente trovata nel corpo del bambino. Tra consapevolezza e involontarietà, o per dirla in termini giuridici, tra dolo e colpa, la differenza è abissale, soprattutto in anni di pena. E per la procura non ci fu una banale disattenzione quel giorno, perché da mesi al bambino sarebbe stato somministrato metadone: il pm Paola Dal Monte, pur riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti, ha chiesto 8 anni per la donna, accusata di omicidio preterintenzionale aggravato e lesioni aggravate. La Corte d'assise, presieduta da Paola Artusi, ha rinviato al 30 gennaio per eventuali repliche e per la sentenza.
Consulenze scientifiche da valutare, intercettazioni telefoniche e ambientali da analizzare, ma anche le stesse parole della mamma durante il processo: una donna con un lavoro stabile, eppure con problemi di tossicodipendenza, così come il marito. Altri due figli, oltre al piccolo di 18 mesi, che oggi hanno 17 e 11 anni inseriti in una struttura dopo la tragedia, benché già da prima la famiglia fosse seguita dai servizi sociali. «Come è finita la boccetta del metadone in frigorifero? E' volata lì? - dice il pm durante la requisitoria -. Prima si dice che era in camera, poi in sala, poi in una valigia. C'è stata la volontà di somministrare il metadone, tanto è vero che l'esame del capello dimostra che ci sono state altre somministrazioni risalenti nel tempo. E, si badi bene, solo sui capelli del piccolo, non dei due fratelli».
Il metadone come calmante, per mantenere tranquillo il bimbo di soli 18 mesi: questa l'ipotesi della procura. «Si vuole far passare l'idea di due bravi genitori e di una tranquillizzante normalità - sottolinea il pm -. La signora ha già una condanna per spaccio. E non dimentichiamo un altro episodio: gli altri due figli abbandonati in un centro commerciale, tanto che sono intervenute le Volanti per rintracciare i genitori».
Innegabile la tossicodipendenza. E' la madre stessa a confessare che lei e il marito si appartavano in cucina per fumare eroina. «Ma questa donna non è una pazza scriteriata che ha somministrato volontariamente del metadone al bambino - spiega il difensore Vincenzo De Rosa -. Ciò che è accaduto nasce da un errore, che è stato pacificamente ammesso».
Ma è chiaro che il punto cruciale sono quelle tracce sui capelli che potrebbero far pensare a tutt'altro che a una tragica fatalità. E De Rosa, in un'appassionata discussione durata quasi cinque ore, ha criticato aspramente la relazione medico-legale firmata dal consulente della procura Donatella Fedeli. «Il primo capello del bambino non è dato sapere quando è stato prelevato, non c'è scritto nella relazione, mentre il secondo - spiega - è stato prelevato un mese e mezzo dopo l'autopsia e quindi può essere stato contaminato perché imbrattato di sangue, dopo l'esame autoptico. Non basta certo lavare i capelli per evitare il rischio, altrimenti non ci sarebbero le linee guida».
Un'ulteriore prova di contaminazione, seppure di altro tipo? Le tracce di oppiacei e cocaina rilevate sempre sui capelli del piccolo. «Escluso che al bambino siano state iniettate quelle sostanze, è plausibile - aggiunge De Rosa - che si tratti di una contaminazione ambientale, perché i genitori fumavano in cucina e lui spesso gattonava fino a lì, mentre i due fratelli stavano in camera quando il padre e la madre si drogavano».
Le fragilità dei grandi. E un bambino che però - per errore o volontà - ha pagato.
Georgia Azzali
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