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La storia

«Io, assolto dopo 5 anni di calvario giudiziario»

«Io, assolto dopo 5 anni di calvario giudiziario»

di Roberto Longoni

30 Novembre 2022, 03:01

Al vicino non parve vero: da sempre gli aveva manifestato antipatia. Saputo della sentenza di primo grado, incontrandolo sulle scale del condominio, sbottò tutto paonazzo: «L'avevo capito subito io, il furfante che è». Per fortuna che Gianluigi Michelini ha un buon autocontrollo. Se avesse reagito d'impulso, un furfante non sarebbe diventato (per quello bisogna esserci portati), ma un violento sì.

Più che la rabbia, fu l'amarezza. Peccato per lui che al sangue freddo non corrisponda per forza la capacità di scacciare ansie e pensieri negativi. Per cinque anni lui ne ha avuto uno costante, più o meno in primo piano: da indagato prima e poi, per tre anni esatti, da condannato per un abuso d'ufficio che, come stabilito dai giudici della Corte d'appello, non è mai stato commesso. Ma la sua pena l'ha comunque scontata, come ben sa l'innocente costretto a vivere nell'ombra di un'accusa infondata.

Michelini era al vertice dell'area dirigenziale Personale e organizzazione dell'Università di Parma. Ricopriva quel ruolo da sette anni, quando scoppiò lo scandalo Pasimafi, nel 2017. Una vicenda clamorosa: l'inchiesta si concluse con l'arresto di cinque persone e la trascrizione sul registro degli indagati di venti nomi, tra i quali, appunto, quello del dirigente. Svariati i filoni di un'indagine che ipotizzava un sistema fraudolento tale da coinvolgere ricerca scientifica, politica, case farmaceutiche e produttrici di dispositivi medici. Un filone, infine, riguardava presunti concorsi farsa. Michelini venne accusato di aver elaborato un regolamento universitario ad hoc per favorire il trasferimento di un ricercatore (a suo tempo collaboratore di Guido Fanelli, ex primario della Seconda anestesia del Maggiore e nome di spicco nell'inchiesta) da Padova a Parma. «Ma in realtà - racconta oggi alla Gazzetta - per quel trasferimento di un individuo già dipendente dello Stato, fu applicato un regolamento tuttora in vigore. Un regolamento che a suo tempo era stato approvato dal Senato accademico e dal Consiglio di amministrazione dell'Ateneo».

Convinto che la sua totale estraneità emergesse già dalle carte, a differenza della stragrande maggioranza dei chiamati a giudizio, lui optò per il rito abbreviato. «Garantisce tempi molto più brevi: e io, a due anni dall'iscrizione nel registro degli indagati, non vedevo l'ora di lasciarmi questa brutta storia alle spalle» sottolinea. Invece, cominciava la seconda parte dell'incubo, peggiore della precedente: Michelini in primo grado venne condannato a nove mesi. Sul ricorso in appello non ebbe tentennamenti («così come non dubitai mai del corso della giustizia» sottolinea con commozione). Ma intanto gli toccava vivere nell'«onta» del primo verdetto, esposto agli strali dei malpensanti e alle sortite infelici di qualche conoscente. «Una sera ne incontrai uno per strada. “È da tanto che non ti vedo: pensavo fossi in galera” mi disse».

Gli affetti veri si dimostrarono tali. «E ho capito fino in fondo quanto sia una solida roccia la mia compagna. Mi spiace per mia mamma, però: a 80 anni è dura sopportare certe situazioni». Come lo è stato per Michelini, che di anni ne ha 58, costretto a fare i conti con un «fardello interiore» più gravoso e prolungato. Per lui, poi: laureato in Giurisprudenza e avvocato dell'Università dal 2016, che ama definirsi «uomo di Legge e dell'Istituzione pubblica. Per me la legge è Vangelo. Sono in Università da 27 anni e mi conoscono come un “rompiscatole” incapace di dire sì quando va pronunciato un no».

Non solo. La prima sentenza ebbe conseguenze dirette e tangibili sul lavoro. È la legge a prevederlo: il declassamento del dirigente scatta già con una colpevolezza in primo grado. Così come sarebbe previsto che le spese per la difesa dei dirigenti siano sostenute direttamente dall'Università (da rimborsare, in caso di condanna passata in giudicato). La riduzione di ruolo (e di stipendio) di Michelini durò diciotto mesi. Da un altro anno e mezzo, poi, gli è stata affidata la direzione dell'Area terza missione dell'Università. «Un incarico che mi coinvolge». Di sicuro ricoperto con la mente più sgombra, da quando la Corte d'appello ha decretato la sua assoluzione. Definitiva, ormai. Ora, la registrino anche i malpensanti: Michelini non sia più associato a Pasimafi. E quando il vicino lo incontrerà di nuovo per le scale gli chieda scusa. Anzi, suoni alla sua porta per farlo.

Roberto Longoni

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