L'INTERVISTA
Dai campi dell’oratorio, a Lodi, al mondiale vinto con l’Italia nel 1982, in Spagna. In mezzo undici anni con la maglia dell’Inter, coronati da uno scudetto e da due Coppe Italia. Lui è Gianpiero Marini, 71 anni - sposato con Domenica, padre di Lucio e Claudia e nonno di Achille e Giulio -, un passato da centrocampista con l’Inter e un presente nel mondo della finanza come broker.
Quando ha iniziato a giocare a calcio?
«Fin da piccolo, alle elementari, all’oratorio poi in una squadra del settore giovanile di Lodi, infine nel Fanfulla, con cui ho esordito in serie D (il 12 gennaio 1969 contro il Parma ndr). Poi sono andato al Varese, nel settore giovanile. Sono seguite esperienze nella Reggina e nella Triestina, con cui conquistai la promozione in serie C. E, quindi, il ritorno a Varese».
Varese è stata una tappa importante per la sua carriera?
«Il Varese era una società che credeva nei giovani: magari ti mandava in prestito un anno e poi ritornavi a casa. Ricordo che, con me, c’erano Gentile, Calloni, Libera. Tutta gente che poi ha fatto carriera».
In quale ruolo giocava?
«Giocavo a centrocampo, da regista offensivo, dietro alle punte. Il cambiamento è avvenuto quando fui preso dall’Inter: all’epoca c’era un dualismo tra Mazzola e Boninsegna, entrambi volevano giocare da punta. E così Mazzola è stato arretrato a dietro gli attaccanti e, di conseguenza, io sono finito davanti alla difesa. È stata la mia fortuna e sono stato una pedina importante dell’Inter per undici anni».
Ritornando al Varese, con quella maglia ha debuttato in Serie A il 6 ottobre 1974, guarda caso contro l’Inter: cosa ricorda di quella giornata?
«Quella domenica era la prima giornata di campionato e il Varese era una squadra di giovani talentuosi: vincemmo per 2-0. Emozione? Quando sei in campo pensi soltanto a giocare».
E dal campionato successivo, 1975-’76, ha indossato la maglia nerazzurra per undici stagioni, con uno scudetto (1979-’80) e due Coppe Italia (1977-’78 e 1981-’82): cosa ricorda di quegli anni?
«L’Inter mi rievoca tantissimi ricordi, è stata la mia famiglia per vent’anni: undici da calciatore e nove nel settore giovanile. Nei primi due anni era una squadra giovane con calciatori esperti come Facchetti, Mazzola, Vieri. Con l’arrivo in panchina di Eugenio Bersellini e del suo secondo Armando Onesti, c’è stato più spazio per i giovani: penso a Bordon, Oriali. Era una squadra con forti potenzialità. Non per niente abbiamo vinto uno scudetto e due Coppe Italia e cinque di noi fecero parte della spedizione azzurra che, nel 1982, vinse la Coppa del mondo in Spagna».
L’allenatore che ricorda con più affetto?
«Certamente Bersellini, con lui siamo rimasti cinque anni. Ma tutti gli allenatori sono importanti: Castagner, Radice».
Da tecnico dell’Inter, subentrato a Osvaldo Bagnoli, ha condotto i nerazzurri alla vittoria della Coppa Uefa nella stagione 1993-’94: che esperienza è stata?
«Conclusa la carriera agonistica, ho frequentato il corso da allenatore a Coverciano e sono rimasto all’Inter nel settore giovanile (Allievi e Primavera), diventandone il responsabile. Quando Bagnoli fu sollevato dall’incarico mi affidarono la prima squadra che andava male in campionato a causa di mille problemi. E la vittoria della Coppa Uefa fu una bella soddisfazione ma in società avvennero dei cambiamenti e così lasciai. Ho allenato, poi, a Como e a Cremona e l’Under 21 di Serie B. Ma avevo in mente altre cose per la mia vita: troppo tempo sotto stress e così ho lasciato il calcio».
Con la maglia azzurra ha giocato 20 partite di cui 5 al mondiale nel 1982 vinto in Spagna: come giudica la sua carriera con l’Italia?
«Sono arrivato in Nazionale a 29 anni: entrare nella rosa dei migliori all’epoca non era facile, non c’erano gli stage. Ho giocato, nel 1980, le prime due partite nel girone di qualificazione al mondiale di Spagna: fui in campo anche con Argentina, Brasile e Polonia. Ricordo, con affetto, che dopo un allenamento, sul pullman il c.t. Bearzot si sedette vicino a me e mi fece capire che potevo far parte di quel gruppo. Le sue parole mi fecero bene e mi dettero la forza per continuare. Ricordo che feci il debutto da titolare vincendo contro la Danimarca e la partita successiva battemmo anche la Jugoslavia».
C’è un ricordo particolare del mondiale vinto in Spagna?
«Eravamo una squadra forte. All’inizio abbiamo patito delle difficoltà fisiche, dovute alla preparazione svolta in Italia. Quando siamo arrivati in Spagna, a Vigo, il clima era diverso: pioveva e sui campi bagnati ci siamo “imballati”, soprattutto Paolo Rossi. Poi una volta smaltite le tossine abbiamo messo sotto tutti: Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest. Eravamo forti in tutti i ruoli».
Dopo l’addio al mondo del calcio, ora si occupa di finanza.
«Dopo il diploma di geometra, volevo iscrivermi all’università ad Economia e Commercio ma i posti erano esauriti, così mi iscrissi a Scienze biologiche, feci solo due anni poi lasciai. Anche quando giocavo, ho sempre studiato la Borsa italiana, la finanza mi affascina. Così oggi faccio il broker di me stesso. Rimpianto? Non avere potuto frequentare Economia e Commercio».
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