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Tribunale

Schiavizza e maltratta la figlia: condannato

Schiavizza e maltratta la figlia: condannato

di Roberto Longoni

27 Dicembre 2022, 03:01

Lei l'aveva raggiunto da figlia. Lui l'aveva accolta da schiava. Non che in Ghana con la madre fino ad allora avesse condotto questa grande esistenza, ma ben presto la ragazza capì che a Parma con il padre avrebbe vissuto anche peggio. Lui s'alzava alle 4, e lei doveva fargli trovare pronta la colazione e il pranzo da portare con sé al lavoro. E se alla sera non fosse stato tutto in perfetto ordine lui si sarebbe fatto sentire eccome. Per non parlare delle rare volte in cui lei usciva per conoscere il suo nuovo mondo e lui, puntuale, al rientro le dava della poco di buono (per usare un eufemismo) davanti a tutti, maltrattandola, fino ad alzare le mani. Anche un giorno così sarebbe stato di troppo: e invece - stando alle accuse ritenute credibili da chi ha pronunciato la condanna di primo grado - è durata sette mesi. Dal maggio al dicembre 2019, quando la ragazza, durante l'ennesimo alterco con il padre (con tanto di intervento dei poliziotti) si è sentita male in mezzo alla strada.

E pensare che l'uomo - immigrato a Parma da anni - sembrava avere i migliori propositi, quando nella primavera di tre anni fa s'era impegnato a ottenere il ricongiungimento familiare per farsi raggiungere dalla figlia. Lei, diciannovenne, era partita dal Ghana con una valigia piena di sogni e speranze: studiare, lavorare, affrancarsi da una vita fino ad allora più che altro di stenti. Le sue non erano che illusioni. Se le cose stavano davvero come ha raccontato lei, è probabile che non conoscesse abbastanza il padre lontano da troppo tempo.

Che aria tirasse nella casa paterna lei lo scoprì ben presto. Isolata e sola, in una città della quale ignorava la lingua, la 19enne conobbe comunque una connazionale nata a Parma, figlia di un'amica del padre. Con lei cominciò a uscire le poche volte che le fosse consentito. Ma pagando pesanti pedaggi al rientro. Forse influenzata dall'amica, la ragazza cominciò ad adeguarsi ai costumi occidentali. E il padre non apprezzava affatto. «P. ignorante - l'apostrofava -. Tu sei qui per badare alle mie esigenze e non per andare in giro come una z...». Aggiungendo che la figlia era tale e quale la madre, con la quale evidemente non correva buon sangue. Guai a reagire: le volte in cui lei ci provò, magari rifiutandosi di cucinare, lui non esitò (sempre stando alle accuse) a prenderla a sberle.

Presto, oltre che la coetanea, la 19enne prese a frequentare la madre di lei. La sua casa per lei divenne un rifugio. La donna l'accolse più volte e cercò di mediare, telefonando al padre della ragazza. L'uomo, allora 46enne, ogni volta finse di voler cambiare atteggiamento e così fece anche dopo che la donna aveva richiesto l'intervento di un amico comune tenuto in considerazione - almeno in apparenza - dall'altro. «Ho capito, ditele pure di tornare a casa - fece quest'ultimo un giorno - l'aspetto a braccia aperte». La figlia gli credette e rientrò. Ma, stando alla sua denuncia, ben presto venne presa a calci e pugni. Cellulare ancora una volta ritirato, così come le chiavi: lei doveva uscire e rientrare solo quando lo volesse lui.

Alla prima occasione, così, la ragazza corse di nuovo a rifugiarsi dall'amica. Dopo sette mesi di vessazioni non restava che denunciare. Il 21 dicembre 2021 i colpi sferrati alla porta dal padre significarono che era stato lui a prendere l'iniziativa. Voleva se non proprio la figlia-schiava indietro, almeno i soldi (70 euro) che lei aveva accantonato temendo tempi sempre peggiori. Attraverso la porta, sembrò di essere riusciti a calmarlo. Ma lui si era solo nascosto lungo via Trento, pronto a partire all'attacco, vedendo la figlia con le amiche dirigersi verso la fermata del bus (erano intenzionate a raggiungere la questura). Durante il parapiglia, la diciannovenne fu colta anche da un malore. Si temette l'infarto, e la giovane venne portata in ospedale, mentre sul posto intervenivano le pattuglie della Squadra volante.

Da allora, la 19enne è seguita dai Servizi sociali: ospitata in una casa protetta e seguita in un percorso di inserimento. Sta imparando in fretta un lavoro e l'italiano. E per lei più che esprimersi nella nuova lingua è stato difficile raccontare il contenuto dal proprio calvario. Tremante, più volte è scoppiata a piangere in aula. Il giudice Gabriella Orsi ha condannato il padre a due anni e 9 mesi, dopo che il pm Marirosa Parlangeli ne aveva chiesti tre e mezzo.

Roberto Longoni

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