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Penne nere

Giuseppe Rossi, è più vivo che mai il ricordo dell'alpino eroe

Giuseppe Rossi, è più vivo che mai il ricordo dell'alpino eroe

di Chiara De Carli

12 Gennaio 2023, 03:01

Terminati gli impegni legati alla campagna di raccolta fondi «Aiuta gli Alpini ad aiutare» che quest’anno servirà a contribuire al sostegno di azioni solidali a favore dei malati di Sla e profughi ucraini, l’agenda del Gruppo alpini di Parma resta fitta.

Oltre agli appuntamenti «istituzionali» che li vedranno accanto alle altre penne nere del Parmense, saranno diverse le iniziative in calendario strettamente legate alla storia, e alla «vita», del gruppo parmigiano fondato nel 1931.

La prima, in programma per la mattinata di domenica prossima, sarà legata a doppio filo al «cuore» degli alpini con la commemorazione del sacrificio del sottotenente Giuseppe Rossi, eroe a cui è intitolato il Gruppo di Parma e a cui è stata conferita una delle medaglie d’oro al valor militare che impreziosiscono il vessillo sezionale e il labaro nazionale dell’Ana, e l’omaggio ai caduti alpini ricordati nella cappella delle medaglie al valor militare dell’Istituto del Nastro Azzurro.

Con un giorno di anticipo rispetto alla ricorrenza esatta dell’ottantesimo anniversario della morte gli alpini, guidati dal capogruppo Aldo Volpi, torneranno ad onorare il giovane concittadino morto durante la Campagna di Russia e a tenere vivo il suo ricordo in tutta la città in cui è nato, ha studiato e ha maturato i valori che lo hanno portato al sacrificio estremo.

«Rossi nacque a Parma il 6 maggio 1921 – ricorda Aldo Volpi, custode di gran parte della memoria del Gruppo alpini di Parma – ma pochi anni dopo si spostò a Fiume con la famiglia per seguire gli impegni di lavoro del padre Ettore, funzionario di banca. In città i Rossi tornarono nel 1936, presero casa in viale Rustici e Giuseppe si iscrisse al liceo Marconi, che ancora oggi lo ricorda con una targa all’interno dell’Istituto, dove ottenne la maturità scientifica proprio nell’anno dell’entrata in guerra dell’Italia».

Avendo titoli e competenze, Rossi presentò subito la domanda per entrare all’Accademia militare di fanteria e cavalleria di Modena e il 3 novembre del 1940 iniziò il corso allievi ufficiali insieme a Leonardo Caprioli che diventerà, anni dopo, presidente nazionale dell’Ana.

«Il 27 marzo 1942 - prosegue Volpi - Rossi fu nominato sottotenente in servizio permanente effettivo e destinato all’8° reggimento Alpini battaglione Gemona divisione Julia, composto prevalentemente da friulani e parmensi».

Un ruolo di responsabilità in un battaglione che andava ricostituito dopo la sanguinosa campagna greco-albanese e l’affondamento del Galilea, la nave che avrebbe dovuto riportare i superstiti in patria. Pochi mesi dopo, da ufficiale della sessantanovesima compagnia, Rossi partirà per la campagna di Russia: un inferno di ghiaccio da cui non farà più ritorno.

«Inquadrata nel Corpo d’armata alpino dell’Armata italiana in Russia, dalla fine del dicembre 1942 la Julia fu impegnata nello spostamento dei suoi battaglioni e gruppi dal fronte sul Don a quello più a sud nei pressi del fiume Kalitwa, per tamponare la falla che si era creata sul fronte del nostro II° corpo d’armata».

Giorni e settimane drammatici, di lotta «impari», fino all’arrivo dell’ordine di ripiegare e alla data del 16 gennaio 1943.

«I reparti corazzati russi avevano già raggiunto ed occupato Rossosch, sede del comando del Corpo d’armata alpino. La divisione Julia, sotto la pressione russa, ripiegava andando a costituire un fianco difensivo verso sud a protezione del ripiegamento dell’intero Corpo d’armata alpino. La 69° era di retroguardia e, duramente impegnata davanti all’abitato di Krinitschnaja a Selenj Jar, non riuscì a sganciarsi dagli scontri».

Nella battaglia di quel giorno, la compagnia perderà tutti gli ufficiali e verrà quasi totalmente distrutta ma ha lasciato a tutti una lezione altissima di senso del dovere e spirito di gruppo. Rossi fu ferito due volte ma non volle lasciare il suo reparto, spinto dalla volontà di non cedere nemmeno un metro di terra ai nemici e, forse, con la consapevolezza che comunque non sarebbe «tornato a baita». Morirà infatti sul campo, a neanche 22 anni, dilaniato da una granata nemica insieme all’alpino Giovanni Pappini che, vedendolo grondare sangue, si era avvicinato a lui per soccorrerlo.

Il suo corpo non fu mai trovato, ed il suo nome figura nell’elenco dei parmigiani ufficialmente dispersi nella tragica campagna sul fronte russo. Ma il suo ricordo, e soprattutto quello del suo eroismo sul campo, non si è mai annebbiato nei cuori delle penne nere parmigiane tanto da suggerire, in occasione della ricostituzione del 1979 e della realizzazione del primo gagliardetto, di intitolare a lui il Gruppo di Parma.

Chiara De Carli

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