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LA «CASA» DEL PARMA

Gli eredi di Ennio Tardini: «Il nuovo stadio deve mantenere il nome del nonno»

Gli eredi di Ennio Tardini: «Il nuovo stadio deve mantenere il nome del nonno»

di Giuseppe Milano

15 Gennaio 2023, 03:01

Era il 31 dicembre del 1922. Il Parma Foot Ball Club (così si chiamava allora) non vive un gran momento. È nato nove anni prima, nel 1913, e continua a veleggiare, con difficoltà, nei campionati regionali. Il calcio era ancora agli albori in Italia. Anzi in quel lontano 1922 si spaccò in due con la Pro Vercelli che vinceva lo scudetto della Confederazione Calcistica Italiana e la piccola Novese di Novi Ligure che si portava a casa quello della Figc.

Il «giuoco del pallone» stava però cominciando la sua gloriosa ed inarrestabile ascesa a fenomeno di massa. A Milano «la sfera cuoiata» sfratta i ciclisti dal velodromo, a Udine una nota marca di birra regala alla squadra locale il campo nelle immediate vicinanze della fabbrica e, infine, a Venezia viene recintato un rettangolo di prato sull'isola di Sant'Elena, spostando un po' più in là barche e gondole ormeggiate nella darsena. A Parma invece si gioca dove si può. Almeno sino a quel 31 dicembre del 1922 quando, esattamente alle ore 14,30 del giorno di San Silvestro, in un campo all'ombra del Casinetto Petitot, nell'allora suburbio Vittorio Emanuele, viene posata la prima pietra del nuovo campo del Castelletto di viale Umberto I. L'allora sindaco di Parma Amedeo Passerini impugna emozionato una cazzuola d'argento e fissa nel cemento un pesante blocco con sopra un gagliardetto crociato. Il presidente del club, nei mesi precedenti, è riuscito a raccogliere le seicentomila lire necessarie per l'opera (oggi sarebbero poco meno di seicentomila euro) e può finalmente realizzare il suo sogno, che poi è quello di tutta la città. Nella lettera con cui invita i soci del Parma all'inaugurazione scrive, orgoglioso, «non sarà una cerimonia convenzionale. E’ e deve essere la legittima espressione del nostro comune, entusiastico compiacimento per la rapida soluzione di un non lieve problema, caldeggiato da quanti seguono con affetto le vicende del Parma... Si inizia la costruzione del nuovo campo, degno del nostro sodalizio, rispondente ai più alti scopi che ci proponiamo».

Il presidente, non lo scrive, ma ha lavorato, e non poco, per trovare quelle seicentomila lire. È stato il suo primo obiettivo da quando è stato chiamato, nel 1921, a dirigere il «sodalizio crociato» e ci è riuscito. Ora può finalmente sorridere, con garbo ed eleganza come fa uno come lui, un colto liberale della Parma degli anni Venti. Ma ha vinto, tagliando il traguardo. L'avvocato Ennio Tardini ha realizzato il suo programma, modernissimo, di dare una casa al suo Parma, con tanto di spazi per gli allenamenti ed una tribuna in grado di ospitare ben settemila persone. Gradinate «amplissime» se si pensa che Parma contava, censimento del 1921, solo 56.685 abitanti.

Oggi che lo stadio è di nuovo al centro dell'attenzione della città a causa del dibattito sulla sua riqualificazione, è giusto ripensare a quella storia di un secolo fa. Normale parlarne con chi quel cognome, Tardini, «lo indossa» tutti i giorni. Sono i tre nipoti dell'avvocato, Alberto Ennio, Maria Grazia e Mario. Assieme ai figli Michele, Elisa, Luca, Francesco, Armando, Caterina e Maria, non hanno mai smesso di tenere viva la memoria di nonno Ennio e in una sorta di piccola riunione di famiglia, immersi fra documenti, foto e giornali d'epoca, accettano di raccontare alla Gazzetta di Parma qualcosa di più del loro carissimo antenato.

I tifosi più innamorati del Parma spesso chiamano lo stadio semplicemente «L'Ennio», quasi fosse uno di famiglia a cui è inutile aggiungere cognome o qualifica. Ma spesso non si conosce la storia di quel nome, legato indissolubilmente alla storia del calcio a Parma. Chi era allora Ennio Tardini?

«Diciamo subito che l'esperienza nel Parma è solo un capitolo della sua vita al servizio della città e dei parmigiani. Nato il 5 settembre del 1879 da Icilio Tardini e Caterina Del Bono, nostro nonno si è laureato in legge all'Università di Parma nel 1902, a soli 23 anni. L'anno dopo, durante lo sciopero agrario di Felino, fu chiamato a ricoprire la carica di segretario generale dell’Associazione agraria parmense facendosi subito ben volere dagli agricoltori. Vedevano in lui una guida intelligente ed autorevole. Nel 1913 assunse poi la direzione della Banca Agraria e fu consigliere comunale.

Era un liberale, un antifascista, fu anche giornalista e direttore del settimanale “Scintilla”, il periodico dei liberali parmensi. Fu sempre lui, poi, a dare vita nel 1921 ai magazzini generali e ai magazzini frigoriferi di viale Piacenza, tra i primi realizzati nel nord Italia, dove oggi ha trovato sede il Grand Hotel Baglioni. Era un'opera avveniristica per l’epoca e diede grande impulso all’attività economica cittadina, in particolare per la conservazione degli alimenti. Tutta la sua azione nonno Ennio la orientò sempre nel campo sociale verso la difesa di quei cardini fondamentali dell’economia liberale che voleva incrollabili come, ad esempio, il diritto di proprietà “sacro ed indistruttibile”, la libera concorrenza, la libertà del produttore».

E lo sport?

«Un'altra grandissima passione. Prima del calcio, nostro nonno fondò e diresse la palestra Umberto I in Oltretorrente. Era la prima volta che una struttura sportiva arrivava nella parte più povera e degradata della città. L'aveva creata per sottrarre dalla strada i giovani: era fermamente convinto che l’educazione fisica e lo sport fossero elementi fondanti della loro educazione».

Poi ci fu il Parma.

«Dove prima venne nominato consigliere e poi nel 1921 presidente in un momento particolarmente delicato e difficile per il futuro del club. Aveva ancora tanti progetti, assieme ovviamente a quello dello stadio, ma purtroppo morì a soli 44 anni».

Come nacque l’idea di realizzare un nuovo stadio, anzi il primo stadio di Parma?

«Tra le prime cose che il nonno progettò, quando divenne presidente, per dare una impronta nuova e un futuro alla squadra, ci fu appunto il grande progetto di costruire una casa per la squadra, cioè lo stadio, come solo poche altre città italiane avevano fatto in quegli anni. Il suo proposito, scrisse, era di dotare “la città di un campo sportivo quale era richiesto dal decoro di Parma e dalle esigenze moderne dell’educazione fisica”. Pensava a una struttura polisportiva, dotata di una moderna pista d’atletica (quella poi rimossa nei prima anni Novanta con la risalita del Parma in Serie A) e quindi parlava non di un semplice campo da calcio ma di un impianto per tutti gli sport e per i cittadini in generale».

Perché fu scelta proprio quell'area al fianco del Petitot?

«Nonno Ennio agli inizi del 1922 individuò un vasto appezzamento di terreno posto nella zona sud della città, in località Castelletto, come luogo ideale dove costruire lo stadio. La zona era già inserita nel tessuto urbanistico della città e quindi facilmente accessibile dai tifosi. All’epoca Parma era ancora piccola, ma sarà proprio grazie al nuovo campo che scatterà lo sviluppo edilizio nella zona a sud. Il progetto fu realizzato dall'architetto Ettore Leoni e l’inaugurazione dell'impianto avvenne all’inizio del campionato 1924/25. Il nonno però non ebbe la gioia di vedere completata l’opera perché morì il 16 agosto del 1923».

Come reagì la città alla sua improvvisa scomparsa, avvenuta a soli 44 anni?

«Conserviamo ancora un libro pubblicato in occasione del trigesimo della sua morte. Racconta del suo inatteso malore a Villa Biondi a San Pancrazio, i discorsi della autorità, le foto del corteo funebre lungo le strade di Parma. Una grande manifestazione di affetto di tutta la città e lo stadio fu subito dedicato a lui, come è sempre poi rimasto scritto sul portale di ingresso».

In realtà ci provò però il fascismo a cambiarne il nome.

«Nostro nonno era un liberale, un convinto antifascista. Il regime lo punì dedicando lo stadio al gerarca Walter Branchi. Nel 1947 però il consiglio comunale di Parma fece giustizia e ricambiò il nome in Tardini. E così è stato sino ad oggi».

E ora, che si parla di una riqualificazione dell'impianto, lo stadio dovrebbe restare con il nome Ennio Tardini? Temete che si possano fare altre scelte?

«Se Parma oggi è dotata di una stadio è grazie all'iniziativa e alla volontà di nostro nonno. Per quasi cento anni l’opera da lui ideata, voluta e realizzata è stata al servizio della città, dei cittadini e degli sportivi di Parma e teatro di infinite ed epiche sfide sportive. Per tutti i tifosi lo stadio di Parma è “il Tardini”. Oggi, è vero, si discute del rinnovamento e della costruzione del nuovo impianto, ma senza l’attuale stadio tutto questo non ci sarebbe. Nonno Ennio ne è stato l’ideatore e realizzatore con un’opera all’avanguardia per i suoi tempi. Il nome Tardini si è inserito in tutti questi anni nel linguaggio popolare tanto che si usa dire “Vado al Tardini” o “Abito dalle parti del Tardini”, c'è addirittura “la farmacia del Tardini”. Se in piazzale Risorgimento continuerà ad esistere un impianto sportivo, questo non potrà che essere intitolato alla sua memoria. Cambiargli nome sarebbe come tornare indietro nel tempo come quando il suo nome era scomodo per il fascismo».

Mettete un “se” al futuro dello stadio in piazzale Risorgimento. Come mai? Non credete al progetto del nuovo stadio nell'area dell'attuale Tardini?

«L'impianto di piazzale Risorgimento ha quasi cento anni di vita e le esigenze dello spettacolo e dello sport in generale sono cambiate. Il rifacimento dello stadio, conservando la parte della porta d’ingresso sottoposta ai vincoli della Soprintendenza delle Belle Arti, crediamo permetterà alla città di dotarsi di un impianto moderno, più funzionale e sostenibile, aggiornato alle attuali esigenze e maggiormente fruibile dalle famiglie, ma sempre strettamente legato alla sua storia. Sulle scelte di progetto non spetta a noi fare un commento ma crediamo comunque sia giusto che lo stadio resti nella stessa zona dell'impianto di nostro nonno. Capiamo i problemi di chi risiede nell'area, anche parte della nostra famiglia vive attorno allo stadio, ma la situazione non è molto diversa da quella che presentano altre città italiane. In sede di riqualificazione siamo certi che si cercherà di ridurre al massimo i disagi della popolazione ma, ripetiamo, lo stadio è giusto che rimanga lì. A disposizione della città».

Poi c'è il famoso “lascito Tardini”, la nota testamentaria con la quale si vincolerebbe l'utilizzo dell'area alla sola attività sportiva. Cosa c'è di vero?

«L'abbiamo sentita anche noi tante volte questa storia ma a noi parenti non risulta. Il nonno morì improvvisamente e non morì certo ricco o nelle condizioni per lasciare un vincolo del genere. Sappiamo che in passato l'amministrazione comunale di Parma fece anche una ricerca per sgomberare il campo da qualsiasi dubbio e non si trovò nulla del genere. Ma anche se non ci sono vincoli legali, l'area deve restare comunque la sede dello stadio del Parma calcio».

Vostro nonno morì giovanissimo. Il suo primogenito Armando aveva solo due anni mentre la sorella, Ennia Caterina, non ha mai conosciuto il papà visto che nacque un mese dopo la sua morte. Eppure siete tutti molto legati a lui.

«Siamo molto orgogliosi di nonno Ennio e di tutto quello che nella sua breve ma intensa vita ha fatto per la collettività, per lo sport e per il Parma Foot Ball Club. Si è messo sempre a disposizione delle istituzioni, della città e dei cittadini e le sue idee furono davvero innovative per i suoi tempi. Ideali che continuano anche con i nostri figli Michele ed Elisa, Luca, Francesco e Armando, Caterina e Maria. Ennio Tardini era stato definito “di intelletto oceanico e d’onestà e coscienza di acciaio”. Ha goduto della stima degli amici e degli avversari che lo considerarono un uomo leale, forte, abile, intelligente ed immensamente generoso. Era un tipo d'uomo che, più che parlare, ha saputo fare e agire nell’interesse della comunità. I suoi valori vengono così tramandati in famiglia da generazione in generazione. Vi è, infatti, un filo conduttore che li accomuna tutti e che possono essere riassunti in tre parole: professione, integrità e sport».

Sport, quindi di nuovo stadio...

«Mario, Alberto Ennio con suo figlio Michele hanno seguito il Parma anche quando militava in Serie C. Tutti lo abbiamo sostenuto nelle finali europee che lo hanno visto vittorioso negli anni ‘90 della Coppa delle Coppe e della Coppa Uefa.

Mario poi ha seguito il Parma anche negli anni più recenti quando ha ricominciato l’avventura dalla serie D assistendo alle serie di promozioni che lo hanno riportato in Serie A. Oggi gli impegni di lavoro gli lasciano meno tempo per andare allo stadio, ma la passione e l’affetto per il Parma continuano anche attraverso i nostri figli».

Rigorosamente sugli spalti dello stadio Tardini.

«Il Tardini oggi, non va dimenticato, è il quarto stadio più antico d’Italia ancora in attività. Prima di noi ci sono solo il Ferraris di Genova, il Penzo di Venezia e l'Arena Garibaldi di Pisa. Gli altri stadi sono tutti nati dopo o collocati in altre aree rispetto a quella iniziale. L'Olimpico, ad esempio, è del 1937 e anche il Franchi di Firenze è arrivato solo nel 1931. Sarebbe un peccato perdere un patrimonio così importante».

E nel 2024, esattamente il 16 settembre, saranno cento anni esatti dalla sua inaugurazione. Nel lontano 1924 il Parma, orfano di Tardini ma rinvigorito dalla sua presidenza, iniziò la lunga cavalcata vincente che dalla seconda divisione, la serie B, lo portò in A dove, il 4 ottobre del 1925, debuttò affrontando, destino che si ripete, la Juventus. Artefici della promozione, si scrisse allora, anche il nuovo stadio e le strutture di allenamento.

La famiglia Tardini si dice già pronta a festeggiare il traguardo secolare, rigorosamente sotto i pennoni dell'ingresso principale, all'ombra di quella scritta che ricorda il loro caro nonno. «L'Ennio», come lo chiamano nei loro comunicati i supporter della curva nord, ora attende anche i tifosi.

Giuseppe Milano

© Riproduzione riservata

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