TEATRO
E’ sempre speciale l’atmosfera che si crea al Teatro Magnani di Fidenza quando sul palcoscenico appare Gene Gnocchi: l’applauso è carico sì di calda ammirazione, di attesa per lo spettacolo che certamente avrebbe fatto ridere, sorridere, divertire, ma si avverte insieme una sorta di affetto collettivo, condiviso, come un gioioso ritrovarsi.
Del resto dove avrebbe mai dovuto presentare Gene Gnocchi il suo nuovo progetto politico, se non in quello spazio tra i suoi concittadini? Non aveva fatto così Bonaccini per annunciare la sua candidatura a segretario del Pd, lì, presso il suo circolo, a Campogalliano? Bene: quale luogo migliore per Gene Gnocchi, se non il teatro della sua Fidenza, per presentare la nascita del nuovo progetto politico, «Movimento del nulla», titolo stesso dello spettacolo? La scena è addobbata a comizio, con bandiere e, davanti al podio/leggio, un manifesto con il volto dell’autore/ attore promotore dell’iniziativa, con tanto di slogan: «noi non manterremo le promesse, ma noi ve lo diciamo prima».
Gene Gnocchi riesce meravigliosamente «a tenere la scena», a mantenere viva, accesa, l’attenzione del pubblico senza un vero nocciolo pulsante: fedele alla sua poetica sembra divagare ironicamente tra discorsi a più livelli, creando comici balzi tra apparente serietà (il tono delle assicurazioni politiche per sanità, scuola, sviluppo energetico) e la pura creatività venata di follia in quel sereno discorrere del tutto «politicamente scorretto». Perché Gene Gnocchi racconta di telefonate a Draghi, cita Alfano, Di Maio e la Santanché a ruota libera, immagina che Gutenberg mai avrebbe inventato la stampa sapendo che la sua scoperta avrebbe reso possibile la pubblicazione dei libri di Vespa, s’interroga sul dimenticato (anche da se stesso!) Maurizio Martina, evoca la distruzione che, fallita alla pandemia (e a Berlusconi), è ora lo scopo di quel neonato movimento, e ancora e ancora: tutto questo con sguardo innocente e sorriso sornione, beffardo, una sorta di rara, gentile perfidia, ossimoro perfetto per la poetica di Gene Gnocchi apparentemente realistico nei toni, narrazioni a spirale infarcite di gustose fake news galleggianti tra l’assurdo e il surreale.
Con il piacere del paradosso che forse anche svela, tra visioni insensate, accostamenti stravaganti, tristi verità sulla nostra quotidiana vita politica. «Bisogna ricominciare da zero». Insieme? Ecco allora scandire a una sol voce il pubblico «Basta slogan!». Non si vive di contraddizioni? Comunque ci vuole un inno per il Movimento. Ci sono due opzioni, ma poco conta l’esito delle libere elezioni tra gli spettatori. Modello vecchio centralismo democratico? E così via. Come si struttura questo Nulla politico? Quali le quote per i soci? Sale in scena Diego Cassani, suona, appoggia e stimola diverse battute. Ha una tuta da lavoratore, perché, malgrado le sue vaste esperienze musicali (anche qui giravolte di nomi), ora guadagna meglio aggiustando i POS: sono così tanti quelli che si rompono continuamente! «Siamo un governo ladro anche quando non piove», «Lavorare meno, lavorate voi», «Tutti per uno, e quell’uno sono io». Si canta anche. Con l’apparizione di quel genio di Mozart! Ma: potrebbe essere un’idea l’eutanasia a sorteggio? Cominciando lì, tra i presenti? E: si potrebbe sperimentare un unico gruppo whatsapp per tutti i cittadini italiani? Un’assoluta interconnessione! Tante, tante le risate, lunghi, lunghissimi gli applausi. E per il bis effetti speciali «modello U2»: bolle di sapone, palloncini ed esplosione di coriandoli!
Valeria Ottolenghi
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