Compositore
Scrivere per orchestra è come guidare una Ferrari. Lo spiega Enrico Scaccaglia, parmigiano, 33 anni, che ha vinto il Concorso internazionale di composizione Luciano Berio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (selezionato su 134 candidature da tutto il mondo) che gli darà l’occasione di comporre un brano originale per orchestra sinfonica. Berio non è un nome qualsiasi, per Scaccaglia, che si è avvicinato alla musica attraverso il rock e la chitarra elettrica...
Cosa significa questa vittoria?
«Berio è stato il compositore che mi ha avvicinato alla “Nuova Musica”, come prima Beethoven aveva fatto da ponte, per me che venivo dal rock, verso la musica classica. Sono anni che continuo ad approfondire le partiture di Berio, a studiare i suoi schizzi per comprenderne l’approccio, sentendo che c’è qualcosa nella sua musica che mi riguarda profondamente. Vincere questo concorso è quindi una cosa straordinaria».
Quali i brani grazie a cui è stato selezionato?
«Il primo, per grande orchestra, si intitola “Archenteron”, che significa intestino primitivo, perché cerco quotidianamente un equilibrio tra ricerca intellettuale e aspetto istintuale. Il secondo, un quartetto che ho scritto durante la pandemia, si intitola “Come stele il vento domina”. Chiuso in casa, immaginavo di essere lo stelo di un fiore sulle montagne in balia delle intemperie... Entrambi i brani portano avanti la mia ricerca sull’aspetto narrativo e teatrale della musica. Concepisco ogni idea musicale come un personaggio di un dramma che ha una sua identità e che si trasforma attraverso incontri e scontri…».
Il premio consiste in 20.000 euro per la composizione di un brano originale per orchestra sinfonica eseguito in prima mondiale nella stagione sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia e pubblicato dalla Universal Edition…
«Questo concorso è una sorta di trampolino e allo stesso tempo una cassa di risonanza, pensato in modo molto intelligente... Avrò un anno di tempo per comporre il brano, poi ci saranno le prove e i concerti partendo da Santa Cecilia, poi con l’Orchestra del Teatro alla Scala, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, l’Orchestra della Fondazione Carlo Felice di Genova…».
Il suo percorso musicale è iniziato dal rock: come è arrivato alla composizione?
«Sono partito dalla chitarra elettrica con un approccio molto istintivo, legato all’improvvisazione. Volevo però sempre più capire quello che facevo a orecchio. All’epoca avevo alcuni amici che frequentavano il Conservatorio: la musica classica ha bussato alla mia porta attraverso nottate di ascolti condivisi con loro. Beethoven è stato uno dei punti cardine. Ho quindi iniziato a studiare chitarra classica, ma non riuscivo a sentirmi un interprete, volevo aprire il più possibile il mio sguardo sia dentro che fuori di me. Solo la composizione mi ha dato pace interiore. Mi sono iscritto al Conservatorio di Parma, dove ho studiato con Roberto Sansuini, a cui devo moltissimo. Molto devo anche a Stefano Rabaglia, insegnante di lettura della partitura, e a Danilo Grassi, direttore del Gruppo di Musica Contemporanea del Conservatorio grazie a cui, in pochi anni, ho sentito eseguire vari miei brani di musica da camera».
Poi ha studiato alla Malmö Academy of Music, in Svezia…
«Un’altra esperienza fondamentale, perché là ho potuto comporre per orchestre sinfoniche… Scrivere per un’orchestra è come pilotare una Ferrari. I rischi sono due: quello di esagerare e perdere il controllo, o quello di tenere le marce troppo basse. È il genere che preferisco per possibilità timbriche, impasti, volume…».
Lucia Brighenti
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