Intervista
Uno dei principali attori dell'oggi incontra il «Sommo Poeta» di sempre, padre “linguistico” d'Italia. Elio Germano, dunque, porta in scena Dante (Parma, Teatro al Parco, sabato 4 febbraio ore 21, ultimi biglietti disponibili tel. 0521 992044). O meglio porta in scena la «Commedia». Non un canto qualsiasi bensì il XXXIII del Paradiso, la chiusura, in cui Dante arriva, “per aspera ad astra”, alla luce di Dio, grazie a Maria e a San Bernardo che lo aiutano a sostenere la visione del divino. Elio Germano, il «Fratello Sole» delle scene (il gioco di parole è fin troppo facile: “helios” in greco “sole”, “germanus” in latino “fratello”) veste i panni di un Dante «viaggiatore contemporaneo» per restituire, in uno spettacolo multimediale, la «somma meraviglia del Poeta di fronte al motore immobile», creando per lo spettatore un’esperienza fisica e metafisica al contempo, come al cospetto dell’immensità. Uno spettacolo «popolare» che è anche «un concerto e una performance».
Lo spettacolo è nato, «in nuce», per le celebrazioni dantesche a Ravenna nel 700° anniversario della morte dell'Alighieri: «Dovevo leggere il XXXIII Canto davanti al Presidente della Repubblica Mattarella, mi feci aiutare da alcuni studiosi per comprendere i significati più profondi - ci spiega l'attore - Dante qui ci racconta il limite dell'umano, l'incomunicabilità di una visione troppo grande».
Così Dante l'ha presa, al punto da volerne fare uno spettacolo...
«Uno spettacolo che non vuole “spiegare” ma “dispiegare” per utilizzare il verbo che utilizza anche il Poeta. Non siamo a scuola, non è una parafrasi. È la restituzione di un'emozione davanti all'ineffabile. E avviene attraverso tre canali, anche qui un numero caro a Dante: la parola, la musica, una grande video installazione».
Con lei, fin dall'ideazione, c'è Teho Teardo, compositore, musicista. La musica è eseguita dal vivo.
«Ci sono Laura Bisceglia al violoncello e Ambra Chiara Michelangeli alla viola. La regia è di Simone Ferrari e Lulu Helbaek, abituati ai grandi eventi, dalla cerimonia d'apertura delle Olimpiadi agli spettacoli del Cirque du Soleil. Abbiamo chiesto loro di ragionare un po' più “in piccolo”, ma con uguale efficacia».
Dopo Leopardi («Il giovane favoloso», regia di Mario Martone) e Ligabue («Volevo nascondermi» di Giorgio Diritti), adesso Dante. Che Dante è?
«È un Dante contemporaneo, con abiti attuali; è un viaggiatore dell’oggi in una messa in scena in cui la parola “messa” ha un valore. Come nella messa, il sacerdote è mediatore tra uomo e Dio, così qui Dante è mediatore tra l’infinito e l’umano».
Abbiamo citato il film su Ligabue (Orso d'argento per il miglior attore a Berlino, David di Donatello per il miglior attore protagonista). E poi «L’isola delle rose», una storia romagnola, per arrivare al recente «Il signore delle formiche» girato a Roccabianca: tanti ruoli l'hanno portata alla nostra regione.
«Sì e aggiungerei anche lo spettacolo “La mia battaglia” da un mio testo, diventato un libro per Einaudi, che ho messo in scena a Riccione, nello spazio Tondelli. Aldilà dell’affetto per la vostra regione, c’è un discorso concreto da fare: è una delle poche regioni, se non la principale, a investire nella cultura. Qui c'è un sistema teatrale all’avanguardia, si investe. E, dove ci sono investimenti, ci sono le produzioni. Poi certamente c'è il piacere di stare qui».
Come è capitato anche ad altri suoi colleghi, penso a Stefano Accorsi «du gust is megl che uan», lei ha esordito giovanissimo con le pubblicità.
«Sì. Negli anni '80 e '90 la tivù imperava, fare la pubblicità era abbastanza normale. Noi, allora, ci vergognavamo un po'; però ora è peggio, si emerge a colpi di followers. Verso i 14 anni, mi iscrissi a una scuola di teatro. Non credo sia stata la pubblicità a segnare il mio destino piuttosto fu Vanzina quando, nel 1998, mi scelse come protagonista del suo film “Il cielo in una stanza”. Forse, se non ci fosse stato quello, oggi non sarei qui».
A questo punto, c’è un ruolo che accarezza o un progetto che accarezza?
«Eh, quanto accarezzare! Hai voglia accarezzare la lampada per far uscire il genio. Il cinema è così: per un progetto che nasce, ce ne sono 15 che non vedono la luce... è molto difficile».
Però stiamo con quelli che credono che il cinema sul grande schermo non morirà...
«Mi piace essere tra quelli. Faccio una considerazione: da spettatore e amante del cinema, lamento la mancanza di sale in cui vedere il film in lingua originale, film passati nei festival. Si è fatto tanto per ampliare la platea però abbassando il livello. Credo, invece, che l'amante del cinema cerchi la qualità. Può essere la strada».
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