Intervista
Eleonora Buratto ha il viso sempre riverberato da un largo sorriso di giovane donna gioiosa, felice della propria splendida voce di soprano lirico già famoso in mezzo mondo e che ora si appresta a mietere altri successi.
Domani a Busseto canterà per celebrare la ricorrenza di una data storica cara a tutto il mondo del melodramma: «Il primo febbraio, la grandissima…», dice la cantante, fermandosi d’improvviso: «Ma no», soggiunge: «gli aggettivi sono tutti imprecisi quando si tratta di artisti dal carisma unico e inarrivabile. Pertanto basterà che io dica che il primo febbraio Renata Tebaldi compirebbe centun'anni. E io ho l’onore di essere stata scelta da Giovanna Colombo, presidente del Comitato e dell’emozionante Museo Tebaldi, come testimonial dell’evento». E’ un personaggio unico, la giovane signora Buratto, stesso dell’attrezzo che divide la farina dalle impurità: e adottato come simbolo di vigilanza sulla lingua italiana dall’Accademia della Crusca. E’ nata nella bassa nebbiosa che più bassa e nebbiosa di così c’è solo il Po: a Sustinente, paese appena 17 metri sul livello del mare: per issarsi fin qui a Busseto, svettante 35 metri sopra quota per loro prealpina, ha fatto esercizi preparatori del cambio di pressione e della rarefazione di ossigeno? Scherza volentieri la giovane artista. Già l’ossigeno che serve per «affrontare l’amato ma impegnativo quant’altri mai Giuseppe Verdi: ed è la prima volta qui a Busseto, con un programma molto impegnativo. Oltretutto, nel teatro d’esordio di Carlo Bergonzi, il tenore Maestro di canto, dal legato sublime e dalle raffinatezze uniche».
Quarant’anni compiuti il 21 dicembre scorso. La Buratto è stata scoperta da Pavarotti. «Un’audizione rocambolesca», ricorda lei: «Canto ‘O mio babbino caro’, lui, seduto in platea, annuisce e mi chiede parlando nel microfono: “Sai il secondo atto di Bohème?”. Vado nel panico, non ne ho idea, ero passata da poco da cantante di musica rock a soprano. Dico alla mia insegnante di Ostiglia: “Ma come fa?”. E lei a bocca chiusa mi fa mugolando “mmmmmm!”. Io disperata: “Ma cos’è?” E lei: “mmmmm” poi gonfiando le labbra: “muuuuuu! muuu!…mmuu!”. Finalmene capisco: vuole sentire il valzer di Musetta. Lo canto, mi viene un bel Do, il Maestro annuisce e se ne va. La mattina dopo mi fa sapere di avermi apprezzata molto e mi invita a prendere lezione a lui».
Altro personaggio che ha contato molto nella crescita di Eleonora è il Maestro Riccardo Muti con il quale esordì al Festival di Salisburgo nel 2009 nel ruolo di Creusa, nel «Demofoonte» di Jannelli. Poi via via Susanna nell’opera di Mercadante «I due Figaro»; Norina nel «Don Pasquale» di Donizetti; finalmente Verdi: Amelia nel «Simon Boccanegra»: e poi eccola nel «Falstaff»: un’Alice che incanta Fenton, e il pubblico. Altro Verdi? «Messa da Requiem», «Aida» in forma di concerto; perfetta l’Elvira in «Ernani»: nonché la Contessa d’Almaviva nelle «Nozze di Figaro». «Devo moltissimo al Maestro Muti: è stata una guida fondamentale per me. E gliene sarò sempre grata». Saggia di quella saggezza lungimirante di ragazza di paese, formatasi solida e con le idee chiare, sta rifiutando una serie di proposte da parte dei Teatri più prestigiosi, gli stessi -, dalla Scala al Met, dallo StaatOper di Vienna al Covent Garden londinese - dove ha già più volte trionfato. «Un conto è cantare un’aria, altra cosa l’opera intera. Ci sono ruoli che ho già messo in campo per gli esordi nei prossimi anni, “Tosca” per esempio, per il quale ho la voce ancora un po’ troppo serena di soprano lirico mancante della “gravitas” drammatica necessaria».
Stimatissima dalla compatta e temibile pattuglia di critici e musicologi, ha ricevuto il Premio Abbiati e un florilegio di aggettivi roboanti e non plus ultra: «Fiordiligi una conturbante Eleonora Buratto - scrive Carla Moreni sul «Sole 24 ore» - di velluto scuro nelle note gravi voce incantevole e piena». E Alberto Mattioli sulla «Stampa»: «Chi domina lo spettacolo è Desdemona, che è poi in effetti la vera protagonista. Eleonora Buratto è “il” soprano italiano di oggi, voce grande, bella, ben emessa». «L’eccellente interpretazione di Eleonora Buratto Liú, quasi pone in ombra la protagonista, un puro soprano lirico – un timbro da brividi», sostiene Salvatore Morra su «Il Giornale della Musica». Da squilli a le «Cinco de la tarde» è lo spagnolo Joan Castellò: «Buratto ha estado con gran maestría excelsa, se ha ganado al público valenciano, que le ha tributado una prolongado ovación tanto al concluir el aria del segundo acto “Al dolce guidami” como al final de la función, con gritos de ¡brava! y con los espectadores puestos en pie».
Applausi e ovazioni, parole dolci e complimenti che questa giovane signora Buratto conquista con la straordinaria, stupefacente capacità di interpretare, dare vita al personaggio. Semplicità ma di quelle forgiate con volontà di ferro, autostima e conoscenza di se stessi. E poi a coronare le qualità della voce, ecco il quid in più, che fa di questa ragazza uscita da una famiglia di normali condizioni, il padre operaio e la madre casalinga, una cosiddetta “fuoriclasse”, “unaspannasopra”, un quid formato da una vocazione alla poesia che forse ha tratto da mondo arcadico, all’humus delle terre virgiliane che lei adora, a cominciare verdianamente dal pessimo clima prodigo di nebbia. «Mi dice mio padre che quando sono nata c’era un nebbione così denso che non si vedeva a un passo. Bellissimo mondo ovattato nel quale rinchiudersi a pensare». Infine l’avvenenza fisica... Eleonora Buratto sembra uscita da un quadro di Rubens, una delle Tre Grazie del Prado: il viso sempre riverberato dal sorriso, una barocca e deliziosa sovrabbondanza di fattezze, portate con legittimo orgoglio di donna consapevole di suscitare attenzione e ammirazione. Una rubensiana attrazione per resistere alla quale lo stoico greco si imponeva l’«abstine et substine», «astieniti dal desiderare e sostieni la volontà». Sustinente, paese dall’erotica etimologia.
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