Intervista
Arturo Brachetti è uno nessuno e centomila: il più grande trasformista al mondo ritorna domani al Teatro Regio di Parma (ore 21) con «Solo», one man show supercollaudato che in 6 anni sta toccando le 500 rappresentazioni.
Torna con l’inconfondibile ciuffo di sempre per 90 minuti di magia (energia) pura, in una versione sempre più veloce e dinamica: del resto, si tratta della leggenda internazionale del quick-change... Dinamico sulla scena, ma anche nel raccontare il mondo incantato di un show davvero immaginifico. «Solo», ma anche in compagnia di scene magiche e niente di meno che della sua ombra (Michael Moore)... «Non è un o spettacolo solo di trasformazione, ma anche di varietà vero e proprio: ci sarà una sorpresa ogni 20 secondi, 65 cambi d’abito, e si passerà dal trasformismo a momenti dipinti sulla sabbia, ombre cinesi, duelli con i raggi laser e videomapping. E’ uno spettacolo di sogno, poetico, surrealista, onirico, divertente: un viaggio della fantasia dal ritmo molto serrato in cui il pubblico sale su un treno già in corsa. Siamo nel 2023 e il ritmo è quello di Netflix».
Durante lo show ci apre anche le porte della sua casa dell’infanzia... C’è qualcosa di più intimo in questa narrazione?
«E’ una casetta in miniatura che mi dà il pretesto di aprire ogni stanza che mi provoca un ricordo, come quando nella soffitta trovo un cappello di mio nonno, o nella stanza dei bambini trovo il libro delle favole e divento tutti i personaggi: è un buon meccanismo che può facilmente aprirmi a nuovi sipari. Però non è una sequenza biografica: più che altro è la storia di un eterno Peter Pan che deve fare i conti con la sua ombra, mentre io invece nella mia vita voglio continuare a volare (e a giocare). Alla fine volo e faccio la pace con la mia ombra: e questo forse è il momento più toccante dello spettacolo: il momento in cui il pubblico capisce che questa infanzia che non c’è più è una cosa preziosissima che passiamo tutta la vita a rimpiangere».
È particolarmente legato a questo lavoro... forse è più poetico degli altri?
«Sono un 15enne intrappolato in un corpo di 65enne e questo spettacolo è per me un parco giochi di divertimenti: nella stessa sera posso diventare uomo, donna, bambino, vecchio e posso far magie come se avessi dei super poteri... addirittura volare!».
Quale il personaggio più difficile?
«Il personaggio più difficile è quando faccio me stesso, senza maschera».
Una carriera magnifica la sua, unica: i primi costumi presi in prestito in seminario, i primi successi al Paradis Latin, tournée in tutto il mondo, il rientro in Italia dalla porta principale, la Rai... Tutto il resto è storia. Tra gli incontri più preziosi?
«A 14 ho incontrato un sacerdote da cui ho imparato i rudimenti dell’illusionismo: la svolta della mia esistenza è cominciata lì. Poi quando ho lasciato Torino per Parigi e ho conosciuto Jean Marie Rivière che mi ha aperto le porte del musica francese... Vede, tutta la mia vita è stata una sliding door e davvero tanti sono stati gli incontri... Da Macario, il Quartetto Cetra, Wanda Osiris, Dapporto... a Ugo Tognazzi, un uomo di grande umanità da cui ho imparato molti trucchi del mestiere».
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Mariacristina Maggi
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