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MALTRATTAMENTI

La doccia e la carta igienica? Razionate. Condannato il marito-padrone

La doccia e la carta igienica? Razionate. Condannato il marito-padrone

di Georgia Azzali

23 Febbraio 2023, 03:01

Avaro, fino al punto di dettare i tempi per le docce di moglie e figlia. Ma anche aggressivo. Nessun contesto disagiato: lui impiegato, lei medico, eppure costretta per anni a dover subire la «legge» del marito. Cinquant'anni, parmigiano, era già stato condannato sia in primo grado (nel 2018) che in appello a 1 anno e cinque mesi per maltrattamenti e lesioni aggravate (pena sospesa). E ad ottobre la Cassazione ha confermato totalmente la condanna, mentre le motivazioni sono state depositate in questi giorni.

Geloso anche del fatto che lei fosse un medico, tanto da impedirle di dire qual era la sua professione quando parlava con altri. E maniaco del controllo. Una forma di punizione per quella moglie che aveva scelto un suo percorso religioso, ma aveva anche la «colpa», secondo il marito-padrone, di essere troppo accondiscendente con la figlia e poco temprata alla vita. E allora bisognava stare attenti a non tirare troppo l'acqua del water, a non sprecare la carta igienica, a riusare più volte i tovaglioli di carta e a mettere un solo piatto e una sola posata in tavola.

Si erano conosciuti nella primavera del 2008 ed erano andati a convivere nei primi mesi del 2009, poi il matrimonio era arrivato nel 2013. Primi tempi sereni, ma man mano lei aveva scoperto il suo vero volto. «Aveva da dire su quando dovevo andare a fare la spesa. Io dovevo andare a fare la spesa tutti i giorni dovendo spendere tra i 10 e gli 11 euro perché c'era una promozione», aveva raccontato la donna durante il processo di primo grado.

Comportamenti maniacali, ma anche aggressivi. «Oltre agli episodi sul risparmio, ci sono state vessazioni drammatiche nei confronti della signora che hanno avuto un'articolazione variegata nel tempo - sottolinea Stefano Delsignore, avvocato di parte civile -. Aggressioni fisiche e aspetti che riguardano il rapporto con la figlia: lui chiedeva che la bambina non fosse chiamata “amore”, ma “cozza” o “vongola” perché così sarebbe cresciuta con un carattere più forte».

Anche un po' d'acqua finita sul pavimento dopo la doccia poteva diventare un pretesto per aggredire la moglie: era capitato che la scuotesse con violenza tanto da farla cadere. Anche le amiche erano viste come nemiche, perché l'obiettivo del marito era quello che lei recidesse ogni legame con chi rappresentava un «pericolo» nella sua idea di dominio totale.

Ma anche nel 2016, dopo la separazione, si era mostrato aggressivo. Non ammetteva ritardi o rifiuti anche quando le loro strade si erano separate: a volte la figlia veniva strappata dalle braccia della madre mentre piangeva e urlava.

Sconcertante anche per i genitori della donna ciò che avevano notato in quella casa. «Mi aveva colpito - aveva raccontato il padre al processo - che in bagno, nella doccia, c'era una bacinella che raccoglieva l'acqua, per cui chiesi a mia figlia se la doccia era rotta». Ma lei gli rispose che l'acqua, per ordine del marito, veniva raccolta perché doveva essere riusata per lo sciacquone. E così anche l'acqua del lavandino.

Due anni di umiliazioni e violenze anche fisiche. Un lungo periodo che l'ha fatta dubitare delle sue capacità e ne ha minato l'autostima. Così, scrivono i giudici della Cassazione, «da donna solare, in salute e aperta al futuro, è diventata una persona isolata, ha perso le autonomie personali riducendosi progressivamente a persona affetta da disturbo post traumatico da stress».

Perché l'avarizia non era che una forma di controllo. Si doveva sentire sbagliata anche per il foglio in più di carta igienica usata.

Georgia Azzali

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