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Parla il figlio

«La morte di mio padre a Dubai è un mistero: aiutatemi a capire»

«La morte di mio padre è un mistero: aiutatemi a capire»

di Luca Pelagatti

03 Marzo 2023, 03:01

«Sono passati più di due mesi. E l'unica cosa che ho saputo finora è che mio padre probabilmente è deceduto. Probabilmente: come se la morte fosse un'ipotesi».

Nicolò Bommezzadri parla con la voce di un uomo stremato. Come è normale che sia per chi, dalle 23 del 18 dicembre, è sprofondato in un incubo. Uno di quelli da cui non ti svegli.

«Secondo quanto ci è stato riferito, in maniera informale, mio padre Stefano è rimasto ucciso in un incidente stradale avvenuto a Dubai. Era fermo ad un semaforo, su un'auto a noleggio insieme ad un altro italiano, quando un grosso suv guidato da un uomo degli Emirati li ha speronati a folle velocità: l'urto ha distrutto i mezzi e li ha incendiati. Sono morti carbonizzati».

E' questo l'incubo? Certo che lo è: la morte di un genitore di soli 62 anni, pieno di vita e di progetti da realizzare, per un figlio è uno strazio infinito. Ma in questa storia che odora d'assurdo questo, paradossalmente, è l'aspetto meno sconcertante. «Ovviamente sono rimasto impietrito e ho cercato di capire cosa fosse successo. Ed allora è iniziata la mia tortura». Si, perché di quella notte maledetta ci sono solo racconti vaghi, dei «si dice». Nessuna certezza.

«Mi sono rivolto alla Farnesina, al consolato di Dubai e ho ottenuto solo risposte fumose», prosegue il figlio di Stefano Bommezzadri, origini fidentine, residenza a Fontanellato e una impresa attiva tra l'Italia e il golfo Persico. «Al momento, infatti, non esiste un certificato di morte, il riconoscimento del corpo devastato dalle fiamme non è mai stato completato, la salma è da qualche parte negli Emirati. E persino gli oggetti personali sono custoditi non si sa dove». Sembra assurdo? Lo è. Tanto che Nicolò dopo un primo attimo di sbandamento ha iniziato a chiedere aiuto a tutti. Al punto da scrivere persino al presidente Mattarella sperando che qualcuno lo aiuti a capire. «In una prima fase ci è stato detto che la polizia locale aveva completato il riconoscimento del corpo grazie al Dna raccolto negli oggetti personali. Ma non c'era certezza assoluta e quindi si è fermato tutto».

E i giorni sono diventati settimane. E poi mesi. «Ora mi si dice di andare a Dubai di persona per fornire il mio Dna per il nuovo riconoscimento. Ma non me la sento e non ho nemmeno i mezzi per affrontare il viaggio».

Intanto però ai familiari dell'altra vittima, Luca Ricciardelli di Genova, è stato proposto un esame da remoto con prelievo in Italia e spedizione dei campioni negli Emirati. «Per loro è possibile: per me no, nonostante le tecnologie moderne pare impossibile. Così come non ci sono documenti ufficiali: solo mail e qualche telefonata».

Per questo, in assenza di certificati, Stefano Bommezzandri resta un morto «presunto», una specie di disperso nel mondo opaco della burocrazia. «Il consolato di Dubai riferisce quello che a sua volta viene loro detto dalle autorità locali. Ma per la nostra famiglia è una situazione che spezza il cuore». Per il figlio, certo, ma anche per il fratello di Stefano che dice di avere inondato di mail e richieste di aiuto mezza Italia. «Sempre però invano».

Ora la famiglia spera che qualcosa si muova, che l'apparato dello Stato anche dopo aver contattato la presidenza della Repubblica, accelleri le procedure. «Non so cosa pensare - è la amara conclusione -. Dopo più di 80 giorni siamo stati contattati dall'Ufficio persone scomparse della Farnesina che ci ha detto di denunciare la scomparsa di mio padre. Dobbiamo farlo noi, qui in Italia. Mi pare una follia. Ma ormai non so più cosa pensare».

Luca Pelagatti

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