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L'intervista

Alessandra Carra: «Dalla moda all'editoria la mia sfida più grande»

Alessandra Carra: «Dalla moda all'editoria la mia sfida più grande»

FOTO DI MAKI GALIMBERTI

di Claudio Rinaldi

05 Marzo 2023, 03:01

Alessandra Carra, com’è stato il suo primo anno alla Feltrinelli? Più divertente o più difficile?

«Sicuramente molto intenso, arrivando da un settore completamente diverso: e quindi c'è stata tutta la sfida nell'apprendere un mondo nuovo dal punto di vista del prodotto, della dinamica, degli interlocutori con cui ti devi confrontare. Poi c’è la complessità di un'azienda molto grande, con 2.200 dipendenti. Però, al tempo stesso, tutto questo rende molto bello, interessante e entusiasmante l’esperienza che sto vivendo. Il mio bilancio, quindi, è di un anno sia divertente che difficile. E anche di grande apprendimento. Sto imparando a conoscere questo settore e sono già riuscita, con la mia squadra, a intravedere le strade su cui poi indirizzare la visione e la strategia che applicheremo».

Quanto si è trovata spaesata, arrivando in Feltrinelli dopo una carriera brillantissima nel mondo della moda e del design?

«Di quel mondo ormai mi era tutto noto, qui mi sto ambientando e continuerò a farlo per un pezzo. D’altra parte, mi sono portata un'esperienza e una visione preziosi, una lente su come attivare alcuni processi che penso sia molto interessante per questo nuovo mondo. Soprattutto nell'ambito dell'indirizzo sulla parte retail, quindi per le librerie, ma anche della condivisione di una visione che può impattare sulla parte editoriale, le mie precedenti esperienze possono essere sfruttate. Alla fine, a un’amministratrice delegata non si chiede di entrare nel merito operativo delle scelte, ma di guidare la visione complessiva e l'indirizzo di un'azienda».

l gruppo Feltrinelli è una vera e propria galassia, tra case editrici, tv, librerie, e-commerce, scuole di formazione, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Riesce a occuparsi di tutto?

«Feltrinelli è una realtà unica nel panorama europeo: perché difficilmente fuori dall'Italia si incontrano gruppi editoriali che hanno anche catene di librerie, o viceversa. Noi abbiamo 112 punti vendita, nella stragrande maggioranza di nostra proprietà, una grande piattaforma di e-commerce con Ibs, Lafeltrinelli.com e il Libraccio, e tante altre cose, che compongono una realtà multiforme: le case editrici – grazie alle quali, soprattutto dopo l’ingresso in Marsilio e Marsilio arte, allarghiamo il perimetro culturale alle arti visive, dalla pittura alla fotografia –; la distribuzione di editori terzi; il settore educazione, con la Feltrinelli Education e la Scuola Holden di Alessandro Baricco; la Effe Tv, che si sta trasformando in Feltrinelli Media, con l'obiettivo di intercettare contenuti che acquisiamo e rilasciamo sul mercato sotto forma di sceneggiature originali, o di produzioni vere e proprie di film, programmi tv, video e audiopodcast. Sono tantissime attività con un fil rouge che le congiunge tutte: si parte da un'idea e si porta fino al consumatore finale attraverso diverse forme. In pratica, tutto ciò che è culturale può transitare sotto l’ombrello della Feltrinelli».

L’ultima nata è Feltrinelli Scuola.

«Ha esordito un anno fa, ci teniamo moltissimo: perché vuol dire portare le competenze di una grande azienda come Feltrinelli nel mondo dell'educazione dei giovani, con un taglio innovativo per il modo di raccontare le arti letterarie. Abbiamo ingaggiato nostri autori per scrivere testi e manuali. E poi facciamo formazione dei docenti, a riprova del fatto che per noi il target delle scuole è fondamentale».

Come fa a seguire tutto?

«Come Ceo, il mio ruolo non è occuparmi di tutto, ma creare una squadra alla quale fornire un obiettivo comune, creando un legame molto forte fra tutte queste attività, per poterle svolgere nella maniera più efficace e più efficiente possibile, ma soprattutto più corretta e coerente rispetto alle linee guida del Gruppo. Un lavoro bellissimo».

Qual è lo stato di salute dell’editoria?

«Dal punto di vista creativo è in un momento di fermento. Ci sono tante case editrici che producono tantissimo: ogni giorno escono 350 libri. È il segno che in Italia diamo una chance a tanti autori. La nota dolente è che c’è un eccesso di produzione rispetto alla domanda: il mercato non assorbe».

Quanto cresce?

«A parte il periodo del Covid, quando tutti abbiamo avuto più tempo per leggere, il mercato editoriale è in sostanziale stagnazione da qualche anno, con crescite del 3-5 per cento, grazie anche al fatto che adesso si misurano anche i manga, i fumetti giapponesi molto amati dai ragazzi. Senza contare i manga, è un mercato fermo».

Gli italiani non sono mai stati un popolo di grandi lettori di libri.

«Più della metà degli italiani non ha letto un libro nell’ultimo anno. Un esempio, guardando oltre confine: la Francia ha solo il dieci per cento di abitanti in più, ma il suo mercato vale tre volte il nostro. In Italia abbiamo un nocciolo duro di pochi lettori, ma molto forti: sono i grandi clienti della Feltrinelli, molto esperti, molto curiosi, molto informati. Ma rappresentano una minoranza».

Cosa si può fare?

«Questo, per certi versi, è il limite dell’editoria. Si è molto puntato sui lettori forti, su una cultura chiusa. E non si è fatto il tentativo di aprire il mondo della cultura a chi non ha troppa confidenza con i libri. Per cambiare rotta è fondamentale il ruolo delle librerie».

In che modo?

«Rompendo gli schemi. Le librerie devono aprire a tutti, in modo che anche chi non è un lettore forte si senta a suo agio nel cercare e nel trovare. Obiettivamente, se non hai idea di cosa vuoi, in una libreria ti puoi smarrire, non è facile trovare un libro. Nei nostri punti vendita puntiamo a essere sempre più accoglienti, accompagnando per mano chi entra, con l’obiettivo di farlo appassionare alla lettura».

C’è un’età per appassionarsi ai libri?

«No. C’è chi inizia da piccolo e poi non può più farne a meno e chi si avvicina ai libri molto più tardi, una sorta di innamoramento lento. Soprattutto in questo caso le scelte dei libri che compi sono fondamentali per aiutare ad appassionare i nuovi lettori. È il compito che ci prefiggiamo per le librerie Feltrinelli».

Il ruolo del libraio è sempre più importante.

«Fondamentale. Il libro è uno dei pochi prodotti che non si racconta da solo: possono aiutare le poche righe che si stampano nella quarta di copertina, ma è importante che qualcuno ti aiuti, ti spieghi il libro. E solo un bravo libraio lo può fare. A Parma lo sappiamo bene, con Giorgio Belledi prima e Roberto Ceresini poi: hanno cresciuto generazioni di parmigiani. Hanno lasciato un segno nella città».

Quanto conta la disposizione dei libri sugli scaffali?

«Tanto. È importante come i libri vengono sistemati, raggruppati, come vengono create le isole. In altri settori si parla di visual merchandising : la disposizione aiuta visivamente il cliente. Ecco, noi dobbiamo avere librerie che ti aiutano a scegliere. E che non siano solo posti dove entri per acquistare: ma dove puoi trovare una caffetteria, come a in via Farini, o dove entri per ascoltare un autore».

Come si batte la concorrenza di Amazon?

«Continuando a fare il nostro mestiere, che per certi è il contrario di quello che fa Amazon. Sia chiaro, loro sono una realtà mondiale, sono bravissimi a fare quello che fanno. Fondamentalmente nascono dal rispondere a un’esigenza: devo cercare un libro, so che lì lo trovo facilmente. Una libreria dovrebbe fare questo, ma anche di più. Cioè: io non ho idea di cosa acquistare, ma so che c’è un luogo che frequento abitualmente, dove mi permeo di cultura, e alla fine questo luogo mi aiuta a scegliere un libro che mi interessa. La vera differenza è che per Amazon il libro è una categoria, come tantissime altre del suo catalogo. Per noi il libro è il libro, cioè il prodotto della vita».

Sull’online, però, siete concorrenti diretti.

«Da un lato sì: noi siamo il secondo sito di e-commerce di libri in Italia, dopo Amazon. Ma anche attraverso le nostre piattaforme online cerchiamo di fare il contrario di Amazon: puoi venire da noi per comprare qualcosa che cerchi, certo, ma puoi anche entrare nel negozio virtuale per cercare consigli e farti guidare. Mettiamo a frutto anche sulla parte digitale l’esperienza dei librai: l’utente trova le recensioni, i commenti della comunità di lettori. Abbiamo anche un magazine, con interviste agli autori e recensioni. Una libreria fisica trasportata nel virtuale, dove portiamo tutta la nostra esperienza. E dove offriamo servizi che Amazon non può offrire: per esempio, il cliente può ordinare un libro sul sito e ritirarlo in libreria, e una volta lì può vedere altre cose che possono interessarlo».

La Fondazione Feltrinelli ha costituito un Osservatorio sul futuro dell’editoria: quali sono i risultati più interessanti emersi?

«Abbiamo chiesto agli interpreti del mercato di mettersi in gioco e di provare a immaginare il futuro. Per esempio, è stata prevista la crescita dell'audiolibro, per la sua fruizione in modi alternativi: durante i viaggi, nelle pause, in metropolitana. Ma il rapporto dice anche che il libro di carta resiste con grande efficacia. A differenza degli ebook, che hanno fiammate quando sono una novità e poi soffrono un crollo: perché la tecnologia evolve ed è destinata a essere soppiantata dalla tecnologia più evoluta, e non si riesce a stare al passo. Dieci anni fa si pensava che l’ebook avrebbe soppiantato il libro di carta: invece adesso vale il 4% del mercato».

E gli audiobook?

«Stanno crescendo, proprio perché permettono una fruizione diversa, mentre l'ebook rappresenta lo stesso modo tradizionale di leggere un libro, senza il peso della carta. La lettura è una “mono esperienza”: quando leggi, puoi solo leggere. Mentre noi siamo circondati da un mondo tecnologico che consente la contestualità di mille gesti: mentre guardi un film dai un’occhiata al telefonino. Oppure ascolti musiva e intanto fai altre cose. L’audiobook è diverso: mentre lo ascolti puoi guidare, o fare i lavori di casa. È un mezzo molto giovane e piace ai giovani».

A proposito di giovani: che libri leggono?

«I giovani frequentano Tik Tok, Instagram. E per noi è importante seguirli sul loro “campo”. Sono i nuovi recensori. Un tempo un articolo sul “Corriere” o su “Repubblica” faceva il mercato. Adesso sono gli influencer a fare vendere un libro, in tanti casi. E non si pensi solo a libri per giovani, anzi. A volte troviamo inspiegabilmente in classifica un classico greco. E scopriamo che un influencer ha fatto un post scrivendo che leggere Eschilo gli ha cambiato la vita. E magari si vendono in un giorno tremila copie di libri di Eschilo. È la versione 2.0 del passaparola dei nostri tempi, amplificato grazie ai social network».

Che giudizio dà a questo fenomeno?

«Dico solo che è nostro dovere seguire i trend. Per molti versi è impressionante, questo ritorno alla lettura. Si collegano insieme a un social e si mettono a leggere in silenzio. E molti nativi digitali riscoprono i mezzi analogici. In molti casi apprezzano la cosiddetta “seconda lettura”: classici che hanno “subìto” e non amato a scuola e che riscoprono qualche anno più tardi, quando sono più maturi e consapevoli. Nelle nostre librerie creiamo le “isole Tik Tok”: ti aspetteresti di trovare libri per adolescenti, un po’ leggeri, e invece trovi anche i grandi classici. Quando ci si chiede “come fai ad avvicinare i giovani?”, forse si sbaglia: sono loro che si stanno avvicinando da soli e non li puoi influenzare. L'unica cosa da fare è essere aperti nel dare loro quello che loro stanno cercando in libreria».

Come si intercettano gli autori più promettenti, in Italia e all’estero?

«È una domanda che anch'io ho posto appena sono arrivata: mi è stato spiegato che non c’è una ricetta ideale, ci sono troppi “ingredienti”. In primis, ovvio, la capacità degli editor di leggere manoscritti originali e capirne la qualità. Ne arrivano a valanghe ogni anno. Poi ci sono gli autori che andiamo a cercare, che cerchiamo di intercettare».

Come li intercettate?

«Uno strumento che utilizziamo è la rivista trimestrale, “Sotto il vulcano”, intitolata così in omaggio a Inge Feltrinelli, perché Sotto il vulcano era la sua opera preferita: si trova nelle nostre librerie, è diretta da Marino Sinibaldi ed è una sorta di laboratorio di scoperta dei nuovi talenti della narrativa italiana. Ogni numero è curato da una firma importante della letteratura italiana, che sceglie nuovi talenti: è un modo per farli entrare nel mondo Feltrinelli, per fidelizzarli, e anche per proporli al pubblico in maniera più protetta, non pubblicando subito un libro ma facendo leggere dei brani, per fare capire il loro stile».

La storia dell’editoria è piena di bestseller “capiti” in ritardo.

«Come no. Tanti libri di grande successo hanno avuto inizi molto complicati; tanti altri, pubblicati per passione, ma senza troppa convinzione, sono diventati libri di enorme successo. La storia de Il Gattopardo, il nostro più grande successo di sempre insieme a Il Dottor Zivago, è proprio questa: è stato rifiutato da tante case editrici; poi, grazie all’intuito di Giangiacomo Feltrinelli, è diventato uno dei più grandi bestseller di tutti i tempi. Lo stesso è accaduto per Harry Potter, stampato dopo innumerevoli rifiuti, e per tanti altri».

Tutto merito del “fiuto” dell’editore?

«Anticipare un successo richiede molta abilità e a volte non lo controlli neanche se sei molto bravo, finisce per sorprenderti il pubblico, che porta un titolo molto più in alto in classifica di quanto avresti scommesso. Devi azzeccare il prodotto giusto nel momento giusto. Più recentemente, penso al bestseller di Stefania Auci I leoni di Sicilia: nata come una fiammella, come tante altre, nel corso del tempo è diventata un fuoco importante. Il mestiere dell'editore è covare tutte le fiammelle, anche se non sa quale sarà la prima a partire: e poi essere pronto a cavalcare il successo».

Una bella sfida.

«Sì, tutt’altro che facile. Nella moda, per esempio, è diverso: esiste una “quasi oggettività” di quello che può funzionare. Il libro e la lettura sono completamente soggettivi. Il giudizio può essere agli antipodi tra persone diverse, ma anche lo stesso lettore può apprezzare un libro di più o di meno, a seconda del momento della sua vita in cui lo prende in mano».

Lei che tipo di lettrice è?

«Sono sempre stata una lettrice appassionata, soprattutto di narrativa, ma anche di saggi, fin da quando ero una bambina. Amo leggere, leggo tanto, di tutto, italiani e stranieri, gli inglesi in lingua originale. Forse è anche per questa passione che, quando mi hanno proposto di entrare nell’editoria, è stato bellissimo».

C’è un libro che le ha cambiato la vita?

«Più di uno. Quando avevo 15-16 anni mi colpì molto L’Atzeco di Gary Jennings: mi fece subito appassionare alla cultura sudamericana e precolombiana, al punto che già a 18 anni ho cominciato a viaggiare per il Sud America per conoscere tutte le civiltà dei Maya, degli Incas, degli Aztechi. Ho fatto tanti viaggi in Messico, Guatemala, Colombia, Costa Rica: sempre spinta dal volume di Jennings. Qualche anno dopo, un altro libro mi ha fatto innamorare potentemente dell’arte».

Quale?

«Il tormento e l’estasi di Irving Stone. È la biografia di Michelangelo Buonarroti. Avevo appena finito l’università, ho cominciato a andare ripetutamente a Roma e a Firenze, per vedere tutte le sue opere, che raccontano il nostro splendido Rinascimento. La passione per l’arte, e poi per il design, è nata allora».

Libri importanti nella sua formazione professionale?

«Almeno tre. Mi è piaciuto moltissimo L’arte della vittoria di Phil Knight, l’autobiografia del fondatore della Nike. Si racconta come si trasforma un’idea in prodotto, in attività imprenditoriale, attraverso fallimenti, cadute e risalite. Insegna che perseguire la propria convinzione – senza fermarsi dopo una sconfitta – alla fine ti porta ai risultati. E insegna anche come si trasforma un prodotto nella comunicazione di uno stile di vita: è stato uno dei primi che non ha comunicato le scarpe, ma la vittoria, la sfida, lo sport. Questo libro ha contribuito molto a formare il mio pensiero: guardare sempre oltre il prodotto, cercare di lavorare sulle emozioni che trasferisci».

Il secondo?

« Sapiens di Yuval Noah Harari: ha segnato la mia tappa di madre. È la storia dell'approdo dell'uomo su questa Terra e della sua evoluzione, dall'uomo di Neanderthal fino a cosa siamo diventati adesso come civiltà, e soprattutto affronta il nostro ruolo su questo pianeta, dall’osservatorio di un antropologo. L'impatto che questa civiltà ha avuto nella vita del pianeta e con gli altri. Sapiens è stato un faro nuovo, è un libro che consiglio sempre di leggere proprio per la chiave di lettura che dà su chi siamo noi e perché sfata la credenza che abbiamo impattato solo recentemente su questo pianeta. E, infine, The game , di Baricco, un libro fantastico».

In che senso le ha cambiato la vita?

«Perché spiega le radici della tecnologia: per me, donna nata in un mondo analogico e che ha vissuto la maggior parte della vita lavorativa in un mondo digitale, è stato come una folgorazione. Perché ho capito la trasformazione tecnologica, la chiave di lettura di cosa veramente ha portato, come ha cambiato culturalmente il nostro approccio. Un libro che ti fa porre le domande giuste, più che dare risposte».

Il libro che sta leggendo adesso.

«Ho appena finito La luce delle stelle morte di Massimo Recalcati, bellissimo. Un saggio che racconta di come il lutto impatta su di noi e di come poi si possono trovare le chiavi di lettura per uscire da esperienze difficili e dolorose. E ho appena cominciato Mi limitavo ad amare te di Rosello Postorino, che è uscito da poco e che è già un grande successo. Già il suo libro precedente, Le assaggiatrici , era molto bello e aveva venduto benissimo. Questo è sulla guerra del Kosovo e racconta l'impatto del conflitto sui bambini: in particolare, la storia di tre bambini che arrivano in Italia e qui riscrivono la loro storia d’infanzia e dell’adolescenza».

Parmigiana purosangue – padre oltretorrentino e madre langhiranese – ha lasciato la città quando si è iscritta all’università a Bologna. Cosa le manca della nostra città?

«Tante cose, anche se a Parma torno spesso, nei weekend: ho una casa, vengo molto volentieri per trovare mio fratello e le mie amiche. Mi mancano i miei genitori. Mi manca tutto quello che per me è Parma: la dimensione raccolta della città, la vita a dimensione d'uomo, il verde, la vicinanza con la campagna e con le colline. Mi manca la bicicletta, questo andare adagio, mi mancano il Teatro Regio, il teatro Due, il fermento culturale di Parma. Anche il prosciutto e la torta fritta. Il ritmo di Parma, che è diverso da quello di Milano. Negli ultimi vent’anni ho vissuto sugli aerei, girando in continuazione, vedendo tantissime città. Negli occhi ho sempre avuto la mia Parma, i suoi valori. Sì, anche il difetto dei parmigiani di essere un po’ chiusi e non troppo amanti di quello che c’è fuori. Ma forse è giusto così, è un modo per difendere le tradizioni, il che è giusto. E il dialetto. Il dialetto che parlavano i miei nonni: e quando io rispondevo in italiano, mi riprendevano: “Alessandra, parla in italiano”. Ecco cosa mi manca».

Claudio Rinaldi

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