Avvocato
Mai avuto un cellulare, il principe del foro. Bastava il fisso dello studio: se Giuseppe L'Insalata non era in udienza, lo si trovava a quel numero, a colpo sicuro. Al mattino e al pomeriggio sarebbero state le segretarie a passare la telefonata. Dopo cena, avrebbe risposto lui stesso: fino alle 23 o a mezzanotte, feriale o festivo che fosse. Quando i colleghi si rilassavano davanti alla tv, l'avvocato era ancora al «fronte» della scrivania, armato di stilografica (mai il computer) tra codici e fascicoli: qui avrebbe vissuto anche la notte del Mundial dell'82, chiedendosi per quale motivo ci fosse tanto baccano in strada, mentre lui lavorava a una causa. Oppure, nei rari momenti di stacco, era a casa a leggere giornali o libri di storia, ma sempre pronto a rispondere al fisso. Della tv, da lui definita «poco educativa», poteva fare a meno: preferiva tenere occhi e orecchie al riparo da clamori catodici e risse telecomandate. Coerente fino all'ultimo, in silenzio L'Insalata se n'è andato a 80 anni. Da ieri mattina riposa nel cimitero di Calestano, dove sono sepolti i genitori. La moglie Giovanna e i figli Mario e Filippo, 50 anni il primo, 45 l'altro, a loro volta stimati penalisti, hanno dato l'annuncio della scomparsa a funerali avvenuti.
È morto una delle grandi toghe della nostra città, stimata dai colleghi e dai magistrati del recente passato: dai pm Giorgio Grandinetti e Beppe Mattioli al giudice Alberto Amighetti. Nato a Matera (la storia della sua famiglia è un rincorrersi tra Parma e la Lucania), nel 1950 L'Insalata si era trasferito all'ombra del Battistero con la madre e il padre funzionario del Fisco. La passione per la legge gli scorreva nel sangue: un nonno era stato pretore a Calestano. «Giuseppe era unico. Abbiamo perso una persona squisita a 360 gradi, meravigliosa per sensibilità, cultura, dialettica e preparazione». È commosso, l'avvocato Luigi De Giorgi: per lui, oltre che un amico è morto un fratello maggiore, per il quale più che mai la formula del «principe del foro» suona a proposito. Dopo un primo periodo nello studio dell'avvocato Giancarlo Artoni, tra legge e poesia, L'Insalata aveva concluso il praticantato proprio con il padre di De Giorgi, Arturo, a sua volta tra le toghe più valorose di Parma. «Con Giuseppe - prosegue il più giovane collega - abbiamo affrontato tanti processi». A cominciare da quello estenuante anche sotto il profilo umano per il rapimento e l'uccisione di Mirella Silocchi, nei primi anni 90.
Legale di Carlo Nicoli, marito della vittima, durante il sequestro L'Insalata ricevette una telefonata. «Posso dirvi cose importanti» annunciava una voce anonima, pronta a rivelare informazioni in cambio di congrua ricompensa. Il tizio fissò un incontro in stazione di lì a un paio d'ore, «senza poliziotti al seguito». Erano le 21. I presupposti per stringere la mano a una persona perbene non c'erano: l'avvocato avvisò in questura e alle 23 entrò in stazione con il giornale sottobraccio messo in un certo modo, per farsi riconoscere, come chiesto dall'altro. L'Insalata capì subito di non essere solo: il netturbino era un poliziotto, il tassista in attesa di clienti l'ispettore Reda. L'incontro durò giusto il tempo per verificare che lo sconosciuto pretendeva soldi in cambio di niente: mentre L'Insalata s'incamminava per tornare allo studio di borgo Riccio, il «netturbino» e il «tassista» prendevano ciascuno per un braccio lo sciacallo, per accompagnarlo gentilmente in questura.
«Mio padre - ricorda il figlio Mario - fumava ancora e così aveva fatto in quei frangenti, teso al pensiero dell'appuntamento con un probabile delinquente. Il mozzicone di sigaretta conservato come un cimelio in un cassetto risale all'appuntamento di quella sera». Non sempre le cicche valgono niente. Non sempre l'importanza dei clienti è proporzionale al gonfiore del portafogli. Oltre a processi di rilievo (come quelli per il caso Parmalat o a carico di Katharina Miroslawa, nel quale assisteva le sorelle di Carlo Mazza costituitesi parti civili) L'Insalata non vedeva come «minori» le cause anonime. Spesso ci si impegnava senza chiedere un compenso a chi lui sapeva in ristrettezze economiche. Tra i 5.800 fascicoli conservati nel suo archivio tanti sono anche di questo tenore.
Il primo contiene le due pagine di un parere legale, prologo di uno sterminato diario di bordo a più voci scritto in oltre mezzo secolo di sentenze e appelli, vittorie e sconfitte impossibili da evitare. L'ultimo riguarda Ivano Savi e Stefania Benecchi, i due dirigenti comunali coinvolti nell'inchiesta Spot Money, incarcerati (poi lui messo ai domiciliari per sei mesi e lei sottoposta all'obbligo di firma) e assolti con formula piena dopo dieci anni. «Mio padre, convinto della loro innocenza - ricorda il figlio - ha sofferto parecchio al pensiero che vivessero sotto il peso di accuse infondate». Saranno marce in più, ma umanità ed empatia sono anche fonti di rischio per chi indossa la toga. Forse anche per questo né Mario né Filippo furono mai incoraggiati a seguire le orme paterne. «”Pensaci bene” mi rispose, quando gli annunciai che mi sarei iscritto a Legge» ricorda il primogenito. Ma troppa era la passione dimostrata da Giuseppe, per non tracimare nella vita dei figli. Conseguita la laurea, Mario e Filippo si sarebbero trovati costretti a studiare ancora, istruiti anche dai segni rossi o blu con i quali il padre segnava i loro errori.
Presidente dell'Ordine degli avvocati di Parma dal 1993 al 1997, L'Insalata nel 2019 ricevette la Toga d'oro per 50 anni di professione onorata e amata. Le ha dedicato tutta la vita, concedendo briciole di tempo all'antiquariato sua unica passione che non riguardasse famiglia e lavoro. Gli altri erano vezzi tesi a sdrammatizzare la seriosità della toga. Possedeva 350 cravatte sgargianti (spesso ne donava ai colleghi). E al polso sfoggiava solo Swatch multicolori o orologi che sembravano usciti da un uovo di Pasqua. Quasi a ricordare che il tempo per un sorriso va sempre trovato.
Roberto Longoni
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