Intervista
Protagonista maschile di «Adriana Lecouvreur», in scena al Regio a partire da venerdì 24 marzo, sarà il tenore Riccardo Massi, nei panni di Maurizio, conte di Sassonia.
Come stanno procedendo le prove?
«Stanno andando bene e sono molto contento. È una regia in stile anni '50: non è tradizionalissima in senso temporale, ma nelle sue intenzioni, coerente e rispettosa delle dinamiche e dei rapporti tra i personaggi, senza forzature. Con il cast si lavora molto bene e mi trovo benissimo con tutti i colleghi».
L'aspetto musicale, invece?
«Con il direttore, mi sono trovato molto bene: lo conoscevo già perché avevamo fatto insieme un “Trovatore” a Monaco di Baviera, l'ultima cosa che ho fatto prima del Covid. È un grande amante delle voci: respira con i cantanti e questa è una cosa che adoro e che non è sempre facile trovare. Così diventa un piacere fare musica insieme e oltre a cantare si riesce a tirare fuori il personaggio fino in fondo».
Ha appena finito di interpretare Cavaradossi in «Tosca», com'è passare ad «Adriana Lecouvreur»?
«Sono ruoli per certi aspetti simili. Maurizio è un nobile di altissimo lignaggio che però all'inizio deve tenersi defilato e nascosto. Questo grande amore per Adriana causa un grande contrasto tra il suo amore sincero e assoluto per lei e il dovere che ha verso la patria. È un uomo diviso tra il dovere e il suo cuore. Il canto di Puccini, però, è più sull'impeto mentre in “Adriana” c'è più cantabilità. Con tutto l'amore che ho per Puccini - ho cantato spesso e mi piace tanto recitare i suoi ruoli, molto "cinematografici" - secondo me, però, nessuno come Verdi ha saputo scrivere per le voci. Il cantabile verdiano è inarrivabile».
Tra l'altro nel prossimo Festival Verdi sarà impegnato nel «Trovatore»...
«Farò del mio meglio, so che il pubblico è molto esigente e mi preparerò al meglio per Manrico. È una bella responsabilità, ma mi piace molto anche l'idea della sfida di portare il mio Manrico su questo palcoscenico. L'ho cantato in altre occasioni, ma ogni produzione è una prima volta: sono diversi i colleghi, è diverso il pubblico, è diverso il direttore. Non dico che ogni volta sia come ripartire da zero, ma quasi: questo è anche il bello della nostra professione».
Come si è avvicinato, invece, alla lirica?
«Fin da piccolo: mio padre era un melomane. Facevamo viaggi in macchina e lui ascoltava sempre la lirica: fin da piccolo sono stato permeato dall'opera. Un giorno a tredici anni ho aperto bocca per imitare quello che sentivo e mio padre rimase molto impressionato. Mi portarono a farmi sentire dal pianista che accompagnava Carreras: io cantai come poteva cantare un ragazzino di 13 anni "Una furtiva lagrima" e disse che sicuramente ero tenore, ma che che avrei dovuto aspettare il cambio della voce. Poi quando ebbi più o meno 20 anni andai a farmi ascoltare da quello che è tuttora il mio maestro».
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