LA STORIA
Nei giorni scorsi il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano in un'intervista ha spiegato che «la legge Bossi-Fini sull'immigrazione ha ormai fatto il suo tempo: è stata rattoppata non so quante volte, ci sono gli articoli bis, ter, quater. Ormai è diventata una legge “arlecchino”. Bisognerà fare qualcosa di nuovo, con calma e in maniera articolata». Parole che, a parte quel «con calma», suonano come musica alle orecchie di padre Simon Digal, monaco benedettino di stanza al Monastero di San Giovanni.
Di nazionalità indiana, 40 anni, padre Simon è in Italia da più di cinque, e si è laureato al Pontificio Ateneo di Sant'Anselmo a Roma. Da due anni è stato assegnato al Monastero di San Giovanni ed è nella Monumentale Biblioteca che lo abbiamo incontrato, scoprendo così la sua personale «battaglia» con la «Bossi-Fini».
«Ho fatto domanda più di un anno fa qui a Parma per avere la cittadinanza italiana, perché ormai vivo qui e vorrei farlo anche in futuro, ma dopo aver completato tutte le carte e sostenuto l'esame di lingua italiana mi sono visto negare la concessione perché non potevo dimostrare di avere un reddito sul suolo italiano. Per un frate questo è normale: avevo però prodotto una lettera firmata dal padre superiore in cui la confraternita spiegava di avere a suo carico il mio mantenimento. E infatti a me non manca nulla. Ma non è bastato. Nel frattempo potevo solo chiedere e aspettare permessi temporanei di soggiorno, ma tra la richiesta e la concessione passano spesso diversi mesi per cui spesso scadono poco dopo l'arrivo».
E la cosa ha conseguenze: «A permesso scaduto non ho copertura sanitaria e soprattutto non posso recarmi in India, dove vorrei andare a far visita alla mia anziana madre, che è malata. L'ultima volta, più di tre anni fa, sono riuscito a rientrare in Italia, dove dovevo completare gli studi, solo con grandi difficoltà e per questo non sono più potuto tornare in famiglia».
E lo dice con espressione triste, padre Simon.
Poi prosegue: «Per ovviare alla prima contestazione, la Comunità di San Giovanni, per iniziativa del Padre Superiore Don Agostino Nuvoli, che mi è sempre stato vicino in questo percorso nella burocrazia italiana, ha deciso di formalizzare la mia assunzione come bibliotecario assegnandomi lo stipendio annuo di 5.800 euro, il minimo richiesto, cifra da dichiarare a Inps e Agenzia delle Entrate per le ritenute e la tassazione. Ebbene, ancora una volta in Questura mi sono visto negare la cittadinanza, e a questo punto non so più davvero come fare. Mi trovo bene a Parma e coi miei confratelli a San Giovanni. Sto lavorando ad un progetto per l'esposizione di alcuni preziosi volumi manoscritti che vorremmo rendere pubblici. Ma la precarietà della mia condizione mi rende impossibile vivere serenamente la mia attività».
Speriamo allora che la revisione della Legge arrivi presto. «Ma forse non è neppure necessaria: a Milano alcune suore mie connazionali e nelle stesse mie condizioni hanno ottenuto regolare cittadinanza. Io posso solo sperare che questo diventi possibile anche a Parma».
Paolo Grossi
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