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Guerra in Sudan

Masini di Emergency: «Barricati in ospedale ma resistiamo»

Masini di Emergency: «Barricati in ospedale ma resistiamo»

di Anna Maria Ferrari

18 Aprile 2023, 03:01

«Siamo bloccati in ospedale, il triage del pronto soccorso è già chiuso. In strada sparano ovunque, la situazione è bruttissima: i pazienti non riescono ad arrivare fin qui, i soldati bloccano le strade».

La voce al telefono non tradisce emozioni, la spiegazione è lucida, dettagliata: da bravo medico è abituato a controllare anche le situazioni più estreme. Eppure Franco Masini, cardiologo parmigiano che guida, come «medical coordinator» per Emergency, il Centro Salam di Khartoum, in Sudan, cioè il più grande ospedale di cardiochirurgia di tutta l'Africa, un'eccellenza assoluta, e gratuita, sta vivendo momenti durissimi, perché, da alcuni giorni, nel Paese africano i conflitti tra esercito e paramilitari sono sfociati in una sanguinosa guerra civile. Soldati armati in strada, mancanza di acqua e elettricità, scuole chiuse, centinaia di morti: e a pagarne il prezzo sono le persone normali.

Il Sudan stava tentando faticosamente di costruire un assetto democratico nelle mani delle forze politiche civili, ma il tentativo è naufragato. Così come la speranza di futuro.

Anche il grande cuore di Emergency è costretto a battere più piano, a rallentare, o addirittura a fermare, l'attività medica nelle quattro strutture che gestisce in Sudan: «Il centro pediatrico di Mayo, che si trova in un campo con un milione di profughi, alle porte di Khartoum, ha chiuso e il nostro staff è stato evacuato; a Port Sudan la situazione è un po' più tranquilla, l'ospedale è ancora in funzione, ma non sappiamo per quanto. La crisi peggiore è a Nyala, nel Sud Darfur: lì ci sono scontri a fuoco vicino all'ospedale, che pur continua a curare pazienti, tra mille difficoltà: sabato sono arrivati due bambini gravissimi, feriti, , non ce l'hanno fatta, altri sette sono stati stabilizzati e salvati. Il nostro staff di Nyala, 5 operatori internazionali e 10 nazionali, è costretto per sicurezza a dormire nei sotterranei, non so quanto potranno resistere». Al Salam, che in arabo vuol dire pace, il centro progettato da Renzo Piano che fa invidia ai nostri ospedali occidentali, si sta organizzando la resistenza per continuare a curare i pazienti in sicurezza, nella speranza che il simbolo di Emergency e le sue missione umanitarie internazionali facciano da scudo alla guerra: «Facciamo solo gli interventi programmati e non so quanto potremo andare avanti. E abbiamo, innanzitutto, il problema dello staff locale, - continua Masini - perché il personale sudanese, che torna a casa a fine turno, non è più riuscito a rientrare in ospedale. E, viceversa, chi ha finito il turno, quando all'improvviso è esploso il caos, è stato costretto a restare qui e dorme in ospedale. Troppo pericoloso tornare a casa. Abbiamo messo materassi negli spazi liberi, anche noi medici internazionali siamo pronti a lasciare le nostre stanze per trasferirci nei sotterranei, più protetti. Le guest house sono già state svuotate. Come acqua e elettricità abbiamo autonomia per circa quindici giorni».

Ma il pensiero corre a chi è più esposto, agli infermieri e ai medici e specializzandi sudanesi - il Salam è anche centro di specializzazione universitaria - con cui si vive gomito a gomito in corsia e che stanno fuori dall'ospedale, in una Khartoum presa d'assalto da fazioni armate: «Abbiamo sentito al telefono la nostra caposala, che abita con la famiglia accanto all'aeroporto, occupato dalle forze militari che appoggiano il presidente: sente gli spari, i colpi di mortaio vicino a casa». Domenica il ministro degli Esteri Tajani, nel lanciare un appello «al dialogo e a cessare la violenza», ha raccomandato ai 150 italiani in Sudan di «non abbandonare le proprie abitazioni». Franco Masini ammette che «abbiamo già vissuto situazioni difficili, ma questa è la peggiore». Impossibile lasciare il Paese: «L'ospedale non deve chiudere. Siamo qui per curare, siamo un centro medico di eccellenza gratuito e continuiamo a resistere. C'è bisogno di noi più che mai».

Anna Maria Ferrari

© Riproduzione riservata

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