Il personaggio
«E come non potrei stare qui? In famiglia, senza essere estremisti, c'era chi era di qui e chi di là: alle manifestazioni ci sono cresciuto. E il 25 Aprile e il 1° Maggio - che parlano entrambe di libertà - le ho sempre mantenute. Oggi si celebra la liberazione dal fascismo, dai tedeschi e dal nazismo». E a casa Mistrali lo hanno imparato bene cosa significava. «Abbiamo vissuto la scalogna di mio padre, mandato nel campo di concentramento di Dachau», racconta Giget, il decano dei loggionisti del Regio. «Il nome è Pasquino ma non lo sa nessuno: sono nato un 16 aprile che era Pasqua e alla fine i bambini mi prendevano in giro». Coi suoi 85 anni, l'ausilio della carrozzina e di un paio di braccia amiche e melomani come le sue, si è presentato elegante di fazzoletto rosso, camicia rossa e rossa la biro nel taschino.
Ricorda quel '44 alle Mole di Lupazzano, nel territorio di Neviano degli Arduini, dove avevano trovato rifugio tanti sfollati, tra cui zii e cuginetti. «La mamma parmigiana del sasso, il papà della campagna: era diventato una staffetta dei partigiani». Ma quel giorno era un giorno semplice, quello della mietitura del grano. «Me lo ricordo come allora: arrivarono verso sera col carro armato e cominciarono a picchiare la gente - racconta con foga, in dialetto -. Un pazzo, pazzo per davvero e non per dire, aveva picchiato un tedesco e arrivò il rastrellamento». Finì con altri a Dachau, il padre: mesi e mesi di stenti e di violenza. «Il suo fu il primo campo che fu liberato da un gruppo di americani e russi insieme: il primo in cui scoprirono le fosse comuni, i trucidati. Tornò nel '46 che era 44 chili». L'unico peso mantenuto, quello dei valori sempre tramandati.
C.C.
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