×
×
☰ MENU

SANITA'

La protesta dei medici di base: «Il certificato di malattia? Spetta anche agli specialisti»

La protesta dei medici di base: «Il certificato di malattia? Spetta anche agli specialisti»

di Monica Tiezzi

16 Maggio 2023, 03:01

Medici di famiglia sul piede di guerra per la trasmissione all'Inps dei certificati di malattia dei pazienti. Una questione non nuova, ma ora all'orizzonte c'è una protesta.

La questione risale alla legge Brunetta (il decreto legge 150 del 27 ottobre 2009) che stabilisce che il certificato telematico di malattia, da presentare al datore di lavoro e che deve essere girato anche all'Inps, è un obbligo di ogni medico, inclusi medici ospedalieri e di pronto soccorso, specialisti convenzionati Ausl e liberi professionisti (ad esempio i dentisti). Una certificazione che il medico che ha visitato il paziente (o lo ha fatto ricoverare e poi lo ha dimesso) non può esimersi dal produrre e inviare.

«In realtà, a distanza di anni dalla legge Brunetta e da vari decreti attuativi e circolari dell'Inps e della Pubblica amministrazione al riguardo, il compito ricade spesso sui medici di famiglia, ai quali molti professionisti dicono di rivolgersi quando i pazienti chiedono il certificato» dice Antonio Slawitz, presidente provinciale Snami, Sindacato nazionale autonomo medici italiani.

Un'incombenza che «non solo ingolfa i nostri studi, se si considera che un medico massimalista deve compilare in media dai 600 agli 800 certificati di malattia all'anno, sottraendo così tempo alle visite, ma è anche in una perdita di tempo per i cittadini» aggiunge Paolo Ronchini, segretario provinciale Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale.

C'è anche un problema etico e legale. «Quando il paziente viene da noi chiedendo il documento per giustificare l'assenza dal lavoro, noi certifichiamo una inidoneità temporanea al lavoro di cui in realtà non siamo a conoscenza e ci assumiamo una responsabilità che non ci compete, rischiando anche la revoca della convenzione» fa notare sempre Ronchini.

«L'articolo 24 del codice di deontologia medica - dice Slawitz - recita che “il medico è tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente constatati o oggettivamente documentati”. Anche la Cassazione, con un pronunciamento del 2008, ha stabilito che un medico può rifiutarsi di certificare ciò che non ha constatato personalmente».

Le difficoltà nell'attuazione della legge - come spesso accade - sarebbero in parte da imputare al sistema di trasmissione telematica, a volte complessa o non adeguata. Per questo la legge Brunetta prevede - in caso di impossibilità di invio telematico - la compilazione dei certificati in forma cartacea: uno per l'Inps con indicazione di diagnosi e giorni di prognosi, l'altro per il datore di lavoro senza diagnosi (per motivi di privacy). Dando per scontato che tocchi al paziente spedirli o farli recapitare.

L'Inps sostiene di aver implementato il sistema telematico dal 2013, visti i ripetuti «black out» soprattutto al lunedì, giorno che tradizionalmente registra un'impennata di richieste di certificati di malattia. Il problema è nazionale - anche se in Lombardia, così come a Bologna e Reggio Emilia, le cose andrebbero un po' meglio che nel resto d'Italia, secondo i sindacati - e ha visto la mobilitazione di varie associazioni di medici di medicina generale.

«A Parma dal 2014 ogni anno inviamo richieste di aiuto e sensibilizzazione ad Ausl, Azienda ospedaliera universitaria e Ordine dei medici, ma con scarsi risultati» dice Ronchini. Così Fimmg e Snami il 17 aprile scorso hanno inviato una bellicosa lettera ai vertici delle aziende sanitarie nella quale, sostenendo che la promessa di aggiornare i sistemi informatici entro il 31 marzo non è stata rispettata, annunciano che «dal primo maggio non trascriveremo più certificati di malattia altrui e rimanderemo i pazienti ai colleghi inadempienti, segnalandoli per iniziative legali e disciplinari».

Da parte loro Ausl e Azienda ospedaliero universitaria, in una recente circolare interna, hanno ricordato ai dipendenti le modalità di trasmissione telematica dei certificati per quanto riguarda i ricoveri, le dimissioni, le visite in pronto soccorso.

«Buona parte dei nostri medici ora adempie all'obbligo di certificazione - getta acqua sul fuoco Nunziata D'Abbiero, direttrice sanitaria dell'Azienda ospedaliera universitaria - L'applicativo telematico è in effetti farraginoso, per questo abbiamo avuto un finanziamento per l'acquisto di un nuovo applicativo. Le difficoltà più grosse sono al pronto soccorso, oberato anche da 220 accessi giornalieri. Ma abbiamo spiegato che in caso di invio telematico problematico si può sempre redigere un certificato cartaceo. È stata fatta formazione ai medici sulle procedure di comunicazione all'Inps e sono in programma altri corsi a fine estate».

«Sul problema abbiamo in calendario un incontro il 23 maggio con l'Ordine dei medici, e stiamo contemporaneamente aggiornando il informatico - aggiunge Pietro Pellegrini, sub commissario sanitario all'Ausl di Parma - Credo che parte della questione investa anche il rapporto di continuità che tanti pazienti hanno con i medici di base, per cui a volte è più facile il contatto con loro che con gli specialisti. Spero che arriveremo ad una maggiore collaborazione fra i vari attori in campo, senza esasperare conflitti nella classe medica».

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI