LA MORTE DI CARRETTA
Mai ha pronunciato la parola «perdono», Paola Carretta. Eppure, non è riuscita a cancellare Ferdinando, il nipote assassino. Un filo resistente di affetto che non si è mai spezzato, al di là del male. «Sono passati 34 anni e ho imparato a convivere con ciò che è successo. Il trauma è sopito, certo non posso dire che è stato superato. Ciò che però ancora non riesco ad accettare è il fatto che i corpi non siano stati ritrovati. “Come è possibile? Dove sono?”, continuo a chiedermi».
Non ha mai smesso di pensare a quel ragazzo che il 4 agosto 1989 aveva ucciso suo fratello Giuseppe, la cognata Marta e Nicola, l'altro nipote, per poi cancellare ogni traccia, anche di se stesso. Lui che per più di nove anni l'ha costretta a vivere in un lungo tempo sospeso domandandosi: «Dove sono tutti? Perché sono scomparsi?».
Era rispuntato a Londra, Ferdinando, nel novembre 1998, e le aveva fatto sapere la sua verità da uno schermo televisivo. Se l'era ritrovato davanti alle telecamere di «Chi l'ha visto?»: l'aveva visto tormentarsi le tempie mentre confessava il massacro. Paola Carretta ha vissuto questo lunghissimo tempo incredibile e doloroso, eppure l'altro ieri, quando ha saputo che Ferdinando era stato trovato morto nella sua casa di Forlì, aveva il respiro spezzato: «L'avevo sentito l'ultima volta una settimana fa. Mi aveva detto che era a letto, perché aveva qualche difficoltà a respirare. Gli avevo chiesto se avesse bisogno di qualcosa, anche se a quasi 79 anni per me non è così semplice, ma mi aveva rassicurato che in caso di necessità avrebbe chiamato gli assistenti sociali».
L'unica zia rimasta, Paola, dopo che negli scorsi anni se ne sono andate, Adriana e Carla Chezzi, le sorelle di Marta, la madre di Ferdinando. Si era già allarmata poco più di un mese e mezzo fa, quando l'aveva chiamato per fargli gli auguri di Pasqua. Le feste comandate, il compleanno: erano appuntamenti fissi per scambiarsi gli auguri. «Gli avevo telefonato più volte, ma scattava sempre la segreteria. “Mi richiamerà, come aveva sempre fatto”, avevo pensato. Dopo un paio di giorni di silenzio, però, ero così preoccupata che ho contattato i carabinieri di San Secondo. Si sono rivolti ai colleghi di Forlì, e subito dopo ho saputo che Ferdinando era stato ricoverato nel reparto di Ematologia. Poi, l'avevo sentito: mi aveva parlato di alcuni valori bassi e di problemi respiratori. Era preoccupato, ma mi aveva detto che sperava di superare la cosa».
Era tornato nel suo appartamento, nel quartiere Ronco, alla periferia di Forlì. Tra quelle quattro mura in cui quasi nessuno è penetrato negli anni. Il bilocale che aveva acquistato con parte dell'eredità acquisita nel 2008, dopo l'accordo con la zia Paola, e che aveva trasformato nel suo nuovo bunker. Dalla camera-rifugio di via Rimini 8, in cui aveva alimentato le sue paranoie, a quell'angolo di solitudine. Eppure, aveva scelto di rimanere a Forlì: ci era arrivato nel giugno del 2006, trasferito alla comunità «Podere rosa» dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove era finito perché ritenuto totalmente incapace. E in Romagna aveva deciso di restare anche dopo la fine del percorso.
Sono le tappe della vita di Ferdinando, che avrebbe compiuto 61 anni a novembre. Ma sono anche quelle che hanno distillato l'esistenza di Paola Carretta. Le ha rivissute tutte ieri, in un cortometraggio intenso e doloroso. Prima l'ha visto steso sul lettino dell'obitorio. «Un colpo al cuore: era irriconoscibile, il volto trasformato, forse anche perché è caduto urtando il viso. Un'altra persona rispetto a quella che avevo visto per l'ultima volta, cinque-sei anni fa, quando era venuto a trovarmi a casa».
E se Ferdinando avesse lasciato scritto qualcosa, qualche dettaglio importante per poter ritrovare qualche resto della famiglia? Ha pensato anche a questo, quando ieri è entrata nell'appartamento di Forlì, soffocato dalla sporcizia e da una marea di oggetti. In tutti questi anni lui non si è mai scostato dalla sua prima confessione: «Ho portato i corpi nella discarica di Viarolo». «E tutte le volte che passo dal paese, non posso fare altro che chiedermi se le cose sono andate davvero così - dice Paola Carretta -. Comunque, sì, ho pensato anche alla possibilità che Ferdinando possa aver lasciato scritto qualcosa, qualche indicazione. Dovremo tornare per pulire e mettere in ordine. E chissà che non emerga qualcosa».
Le resta dentro l'immagine di un Ferdinando abbandonato a se stesso. Un naufrago in quella desolazione. Malato nel corpo e ancora in lotta con le sue ossessioni.
Georgia Azzali
Quell'appartamento invaso da oggetti e rifiuti
Bianca, asettica, senz'anima: così era la camera di Ferdinando Carretta, nel 1999, all'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Un altro mondo, il suo bilocale rifugio di Forlì: invaso di oggetti, rifiuti, sporcizia. Eppure, ventiquattro anni dopo, forse non è cambiato nulla. Il giovane uomo, che allora anestetizzava il dolore con l'ordine maniacale, è diventato un 60enne che ha accumulato cose per placare i suoi demoni. «Impressionante, sono rimasta sconcertata. Non si riusciva quasi a camminare - racconta Paola Carretta, che ieri è entrata nell'appartamento accompagnata dai carabinieri -. Era un uomo solo, nonostante fosse seguito dai servizi sociali, e ancora affetto dai suoi problemi psichici. Sono convinta che stia meglio dove si trova ora e spero che si sia ricongiunto con i suoi genitori e il fratello».
Un soggiorno con l'angolo cottura, una camera da letto e un bagno: un bilocale in una palazzina nel quartiere Ronco di Forlì sopraffatto dall'incuria. Certo, è comprensibile che nell'ultimo mese, quando le condizioni di salute sono peggiorate, Ferdinando facesse fatica a curare la casa. Ma l'immagine che conserva la zia dell'appartamento fa pensare a un degrado sedimentato negli anni.
E lui se ne è andato tra quelle stanze, accasciandosi in cucina. Giovedì, quando i carabinieri hanno scoperto il suo corpo, dopo l'allarme di una vicina che non lo vedeva da un po' di tempo ma sentiva il televisore sempre acceso, Ferdinando era già senza vita da qualche giorno. Una morte naturale, ha certificato subito il medico legale, e non sarà necessaria l'autopsia. «Ho firmato davanti ai carabinieri, e nei prossimi giorni verranno organizzati i funerali - spiega Paola Carretta -. Poi verrà sepolto a Forlì».
Era la città che aveva scelto. Abbandonando Parma, dove era nato, cresciuto e dove non si era mai sentito a casa. Quella che non ha mai trovato. Nemmeno quando se ne era andato a migliaia di chilometri di distanza.
G.Az.
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