EDITORIALE
Henry Kissinger ha voluto festeggiare i suoi 100 anni con un viaggio a Pechino, nel ricordo del suo viaggio in Cina, prima esplorativo, poi con il presidente americano Nixon, nel 1972. Per cogliere l’importanza di quel viaggio, bisogna per un attimo riprendere il contesto di allora. Il mondo era diviso in due: da un lato, gli Stati Uniti con gli alleati del mondo occidentale, dall’altro, l’Unione sovietica con i propri alleati dell’Est europeo e la Cina. Il clima era quello che ricordiamo come “Guerra fredda”, cioè una guerra in atto, in cui nessuno sparava (salvo nei conflitti locali in cui le guerre erano per interposto nemico, come in Vietnam). Perché le armi atomiche (in possesso di entrambi i contendenti) avrebbero portato inevitabilmente alla “mutua distruzione assicurata”. Fare la guerra sarebbe equivalso (allora come oggi) ad un suicidio collettivo dell’umanità. Tuttavia, in questo contesto Kissinger colse elementi di frizione tra l’Unione sovietica, che nel rapporto con la Cina pretendeva il ruolo - peraltro comprensibile - di alleato maggiore, e la Cina medesima. La quale, seppure tra enormi difficoltà, stava crescendo economicamente, ed iniziava a pretendere una propria autonomia diplomatica internazionale, soprattutto rivolta verso i paesi dell’Estremo Oriente.
I Per inciso, la Cina non aveva dimenticato che nemmeno l’alleato sovietico era stato, in diverse occasioni nel passato, pienamente amichevole nei suoi riguardi.
All’inizio il dialogo fu tra Kissinger e il ministro degli esteri cinese Zhou Enlai (un’altra figura straordinaria della storia cinese), e procedette con grande gradualità, con il ritmo e la ritualità confuciana. I primi a sbarcare in Cina “da amici” fu la squadra di ping-pong, un gioco simbolo della cultura cinese, come il baseball per gli americani o il calcio per i brasiliani.
La visita di Nixon e Kissinger con tutta la squadra diplomatica americana, documentata nei dettagli, ebbe aspetti quasi comici (per usare un eufemismo), perché ogni diplomatico americano cercava di trovarsi uno spazio di contatti per la propria futura carriera. Ed ogni evento (dalle parole di un colloquio al linguaggio del corpo) venne successivamente sezionato per sottoporlo alle più svariate interpretazioni.
Divertente (con gli occhi di oggi) fu una battuta di Mao (allora già anziano e sostenuto da una giovane interprete), quando si venne a parlare di Taiwan; affermò: “Non sono cose che mi interessano, parlane con Zhou”.
Tra americani e cinesi sopravvivevano antichi rancori, dall’appoggio alla causa nazionalista da parte degli USA all’intervento delle truppe cinesi nella guerra di Corea. Ma soprattutto i cinesi non avevano mai perdonato gli americani per averli esclusi dalle trattative di pace dopo la fine della Seconda guerra mondiale, escludendoli da ogni diritto di rivalsa nei confronti Giappone.
La visita di Nixon e Kissinger in Cina si concluse con il Comunicato congiunto di Shanghai, in cui si accoppiava l’opposizione alle pretese egemoniche dell’Unione sovietica e si apriva al riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte degli Stati Uniti. Riconoscimento che avvenne nel 1979, con l’instaurazione di normali canali diplomatici.
L’apertura di Kissinger alla Cina non fu il suo unico successo. Dopo aver contribuito al trattato per la fine della guerra in Vietnam, partecipò attivamente alla ricerca di una pace tra Israele ed i paesi arabi, che all’inizio sembrò funzionare.
In altre occasioni, la sua straordinaria capacità di inventare mediazioni tra posizione opposte non ebbe successo. Venne accusato di avere appoggiato il colpo di stato di Pinochet; su questo Kissinger rifiutò sempre di rispondere. Conoscendo l’eterogeneità dei servizi segreti americani (in particolare l’articolazione dei “poteri controbilancianti” nel governo), è probabile che lui si sia opposto, o addirittura che venne attuato a sua insaputa.
Kissinger è tedesco di nascita, per questo non poté mai candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti; non è mai stato un politico di carriera. E’ stato professore di storia ad Harvard, con una laurea (pubblicata) sul Congresso di Vienna, un capolavoro di diplomazia, perché da un lato recuperò la Francia nel consesso delle potenze europee, e dall’altro assicurò la pace nei successivi 30 anni dopo le devastanti guerre di Napoleone.
Per Kissinger “peace and prosperity” sono gli obiettivi a lungo termine dell’umanità, difficili da raggiungere, se non costruendoli poco a poco, come una casa di mattoncini Lego. Il suo contributo di saggezza, moderazione e lungimiranza che ci è utile oggi, senz’altro ci mancherà domani.
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