Viaggio nella storia
Colorno 29 luglio 1873, ore 9 del mattino: un lungo corteo di carrozze partì da strada Santa Croce (ora via D’Azeglio), attraversò il Pubblico Giardino e si avviò verso Colorno. Erano passati solo tre giorni dalla convocazione straordinaria del Consiglio dell’Amministrazione Provinciale di Parma, nella quale era stato deciso l’immediato trasferimento del Manicomio da Parma a Colorno poiché il colera minacciava la città. Allo scopo di cercare un luogo più spazioso e adatto a contenere i malati, la Provincia aveva già acquistato dal Demanio nel 1870 per centomila lire il Palazzo Ducale, la Longara, la chiesa di San Liborio, l’ex Convento dei Domenicani, l’ex Convento delle Domenicane e il Giardino Ducale.
Il frenocomio parmense era ospitato fin dal 1819 nell’ex Convento di San Francesco di Paola, all’ombra delle Torri dei Paolotti, ma la struttura era angusta e non più adatta a contenere la crescente richiesta di ricoveri. A Colorno il locale deputato all’insediamento dei “folli” fu l’ex Convento dei Domenicani, immenso edificio fatto costruire dal Duca Ferdinando di Borbone nel 1780, che svuotato dei frati in epoca Napoleonica, fu da Maria Luigia concesso in uso al Collegio Militare di Parma, che vi rimase fino al 1860 e utilizzato come Scuola di Fanteria dal 1864 al 1865. Su quelle carrozze si trovavano il nuovo direttore, il dottor Lorenzo Monti, il personale medico e infermieristico e 141 alienati che si insediarono “provvisoriamente” nei locali colornesi. L’ex Convento per la sua conformazione si prestava alla suddivisione in reparti femminile e maschile. Nell’ala destra fu stabilito il reparto femminile e nell’ala sinistra quello maschile. Sin da subito i locali furono giudicati stretti e già dal 1874 si cominciarono ad utilizzare i locali dell’ex Convento delle Domenicane, soprannominato “Conventino”.
Furono costruiti passaggi sopraelevati per rendere comunicanti i due fabbricati e nel Conventino fu allestito al piano terra il reparto dei pazienti maschi agitati e al piano superiore l’infermeria e i dormitori per i più tranquilli. Si ricavarono cortili per ogni reparto erigendo muri e vennero fissate alle finestre un gran numero di inferriate. Ben presto risultò stretto anche lo spazio dedicato ai reparti femminili, e si occuparono anche le stanze e i corridoi a lato della chiesa di San Liborio.
Il Garderobe, edificio settecentesco a servizio della Corte, divenne il nuovo reparto agitate del Manicomio. Nel 1878 risultavano occupati il porticato che divide il secondo e il terzo cortile della Reggia e la maggior parte delle strutture che si affacciano sul torrente Parma. Nel frattempo l’insediamento dell’ospedale dei pazzerelli a Colorno era divenuta definitiva. Da quel momento in poi il Manicomio Provinciale di Parma rimase per altri 120 anni in funzione a Colorno. Il direttore Monti, dopo essersi prodigato per organizzare alla meglio un manicomio in locali pensati per altro uso, e soprattutto aver cercato di migliorare la situazione penosa in cui venivano allora tenuti i malati, fu colpito da uno scandalo collegato alle spese eccessive della sua gestione. Alla fine fu ritenuto innocente ma il peso delle accuse lo portarono alla morte nel 1881.
Nel 1883, come riportano le cronache dell’epoca, la Fontana del Trianon rimasta nel Giardino dall’inizio del Settecento e ritrovatasi nel bel mezzo del cortile dei tranquilli, fu “smontata” da alcuni ricoverati a colpi di piccone. Il Giardino fu anche protagonista nel 1885, quando per una nuova epidemia di colera furono in fretta costruiti al suo interno padiglioni provvisori per l’isolamento degli infettivi. E sempre il Parco fu al centro dei nuovi piani di modifica ed espansione di un progetto presentato nel 1903, che proponeva la costruzione di un Manicomio strutturato a padiglioni. Tali padiglioni sarebbero dovuti essere costruiti all’interno del Giardino Ducale distruggendone per sempre la struttura. Fortunatamente tale progetto non ebbe seguito, come non ebbe mai seguito la proposta di trasformare il Parco in colonia agricola.
Nel 1913 dopo un accordo tra Comune e Provincia venne costruito un acquedotto ad uso del Manicomio e dell’intero paese. La cisterna di immagazzinamento dell’acqua fu realizzata in pieno centro storico, sopra il tetto della Longara. La Prima guerra mondiale portò un aumento dei ricoverati superiore al 50%, si arrivò in quegli anni ad un numero di 605. Quando i letti non bastavano i pazienti dormivano su pagliericcio. Nel 1915 si fece un piccolo salto di qualità, si installò l’impianto elettrico. L’arrivo della corrente elettrica fece in modo che 500 lampade rischiarassero le tetre notti del Manicomio, sostituendo le vecchie fumose e puzzolenti lampade a petrolio. Si costruì inoltre una lavanderia a vapore per il lavaggio di indumenti e biancheria, che all’epoca erano ancora lavati a mano. Ci si rese conto che era necessario cercare altrove spazio per i pazienti.
Nel 1916 l’Amministrazione Provinciale decise l’acquisto di una casa adiacente il Manicomio per creare un nuovo reparto di isolamento. Nel 1917 fu sistemato il reparto femminile descritto allora come una bolgia clamorosa piuttosto che un luogo di soggiorno e cura, per questo furono adattati alcuni locali del secondo cortile della Reggia, creando un nuovo reparto dedicato alle semiagitate. Nel 1918 fu requisita Villa Bellocchio per ospitare 39 sfollati di guerra provenienti dal Manicomio di Vicenza. E sempre nello stesso anno per creare un nuovo reparto per il ricovero dei bambini si affittarono due abitazioni: le case erano dotate di latrine, acqua potabile e luce elettrica. Una delle due fu destinata agli ineducabili.
La Seconda Guerra Mondiale, portò ulteriori grandi e definitivi cambiamenti. Il 10 aprile 1945 gli aerei alleati sganciarono 8 bombe sul paese, una di queste colpì il Conventino creando fortunatamente solo feriti. La fine del conflitto fu motivo di riflessione per la ricostruzione di ciò che era stato perso ma soprattutto per un riassetto generale del Manicomio che diventerà Ospedale Psichiatrico. Nel 1947 si lamentava il carattere dispersivo degli ambienti e la distribuzione irrazionale dei reparti. Ambienti lugubri che facevano assomigliare il tutto ad un carcere.
Nel 1948 una relazione dell’allora direttore Luigi Tomasi, diede un’ulteriore e decisiva spinta per intraprendere grandissimi lavori di ristrutturazione e di costruzione. In tale relazione si faceva presente lo stato dei locali dove i muri erano perennemente umidi e scrostati. L’impianto idrico faceva fatica a portare l’acqua ai piani superiori. I servizi igienici non erano distribuiti nei reparti e inadeguati con acqua che rimaneva sui pavimenti. L’impianto elettrico realizzato da elettricisti dilettanti insieme ai ricoverati stessi, risultava pericoloso. Il riscaldamento quasi inesistente: l’unico reparto in cui esisteva un impianto a termosifoni era quello dell’Infermeria-Osservazione. Erano state dislocate stufe in cotto in vari ambienti ma venivano utilizzate solo in orari diurni e nei dormitori erano state posizionate in alcuni punti strategici, dove comunque, il personale di vigilanza era imbacuccato con cappotti di cui era stato appositamente dotato. Infine, anche l’impianto telefonico interno non funzionava più da anni causando grossi problemi di comunicazione tra i reparti. Nella relazione di Tomasi si parlava, naturalmente, oltre che della situazione delle strutture, della situazione dei pazienti, della considerazione nei loro confronti e degli atteggiamenti di disinteresse da parte del personale. Si proponeva quindi di abolire i sussidi di contenizione carceraria e di avviare la sperimentazione di nuove terapie mediche a base di farmaci, supportate però anche dall’uso dell’elettroshock. Si proponevano aggiornamenti per il personale in modo che potesse essere tecnicamente più preparato. In quegli anni fu incrementato il numero degli infermieri che erano comunque già da tempo supportati dalle Suore Vincenziane dai larghi cappelli, che avevano anch’esse mansioni paramediche.
Tale relazione, quindi, fu il punto di partenza per grandi cambiamenti. A farne le spese fu il patrimonio artistico colornese, già lungamente messo alla prova dai precedenti ottanta anni di occupazione manicomiale. La parte del Conventino colpita dalla guerra fu completamente abbattuta, ma le demolizioni furono ancora più numerose. Il lungo ed articolato edificio del Garderobe fu quasi completamente raso al suolo e ricostruito sovralzandolo di un piano. La grande ala affacciata sul torrente che fino al 1792 aveva ospitato il teatro di corte del Bibiena fu abbattuta per essere ricostruita in modo più funzionale e più consono, cancellando per sempre ambienti che avevano fatto parte delle Corti Farnesiane e Borboniche. Fu costruita ex novo una nuova ala che tagliava in due il terzo cortile della Reggia, originandone un quarto.
Inoltre, i laboratori artigiani furono trasferiti in un edificio apposito situato all’interno del Giardino. Il 24 gennaio 1955 si tenne una grandissima inaugurazione che dava il via al nuovo Ospedale Psichiatrico colornese, anche se i lavori proseguirono ancora fino al 1961. In quegli anni venne coperta l’ultima parte del canale Naviglio che costeggiava ancora ciò che rimaneva del Conventino, questi lavori fecero sì che si potesse realizzare un nuovo ampliamento delle strutture con un padiglione intitolato al direttore Monti. Tale reparto fu occupato dai pazienti paganti. Furono inoltre costruiti bagni in ogni reparto e ripristinate le comunicazioni telefoniche, nonché scavato un nuovo pozzo, costruita una cabina elettrica e adeguati gli impianti di riscaldamento e quelli fognari.
Questa immensa mole di lavori svolti tra il 1950 e il 1961 costò alla Provincia 600 milioni di lire, cifra che, come fu più volte ribadito, era ben inferiore alla spesa di 2 miliardi di lire che avrebbe comportato la costruzione di un nuovo Ospedale.
Furono gli anni in cui si incominciò a parlare anche di Neurochirurgia e psicoterapia. Per il benessere dei pazienti si cominciarono ad organizzare gite e feste. Il Giardino, tornato ad essere di utilizzo esclusivo dell’Ospedale, venne sfruttato per allestire giornate con balli e giochi a cui veniva invitata tutta la popolazione di Colorno, creando una una sorta di integrazione tra il paese e il maximondo che era racchiuso tra le mura dell’Ospedale Psichiatrico.
Nel 1969 per più di un mese un gruppo di studenti della Facoltà di Medicina di Parma occupò l’Ospedale Psichiatrico, supportato dalle istituzioni e da Franco Basaglia, colui che ne diverrà il nuovo direttore e che sarà l’autore della famosa battaglia per la chiusura delle strutture psichiatriche. La riforma del 1978 sancì la fine della storia anche dell’Ospedale colornese. Lo smantellamento e la riforma dureranno per parecchi anni fino alla creazione di piccole comunità di recupero e alla chiusura definitiva avvenuta come per tutte le altre strutture nel 1996.
I locali dell’ex Convento dei Domenicani e del Conventino furono abbandonati da un giorno all’altro e rimasero come se il tempo si fosse congelato. Tutto rimase com’era: immobile e pronto da cancellare.
Quella del Manicomio è stata una pagina triste e dolorosa legata non solo a Colorno ma a tutta la Provincia; con le sue storie incredibili di pazienti trattati a volte oltre il limite dell’immaginabile. Quelle storie, pur essendo state rinchiuse in quel luogo sono comunque riuscite a far parte di noi colornesi, per sentito dire o perché incontrate attraverso un’inferriata, un vetro o una rete.
Dopo 150 anni, insieme a queste storie, che non devono in nessun modo essere dimenticate, non dobbiamo dimenticare la distruzione del patrimonio Ducale perpetrata per anni, che ha causato la perdita irreparabile di gioielli che si erano conservati per secoli, e che la storia di un Ospedale Psichiatrico durata poco più di un centinaio di anni ha purtroppo cancellato per sempre.
Paolo Affanni, autore del volume «Il Giardino di Colorno»
Cesare Conti, autore dell’«Almanacco Colornese»
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