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Intervista

Il bassista Gianni Maroccolo ospite a Pellegrino: «Vi racconto i Litfiba»

Il bassista Gianni Maroccolo ospite a Pellegrino: «Vi racconto i Litfiba»

10 Agosto 2023, 03:01

Gianni Maroccolo non è stato solo il bassista dei Litfiba e dei CSI: è una figura amata e rispettata da tutto il mondo musicale indipendente italiano, tanto dai nomi più famosi quanto dalle piccole band che condividono la passione per la musica. Durante i due giorni del festival «Rock in the Village», che si terrà domani e sabato all’ostello di San Francesco di Pellegrino Parmense, sarà protagonista di due diversi momenti per testimoniare tutte le sue anime musicali. Domani alle 21.45, dopo il concerto dei Màdrega con Flavio Ferri e prima dell’esibizione della giovane Talea, con Antonio Aiazzi (suo compagno ai tempi dei Litfiba) e il giornalista Simone Stefanini rivivrà l’epopea dell’ascesa dei Litfiba, dalle cantine di Firenze ai grandi palchi internazionali. Il giorno dopo alle 16, nel giardino dell’Ostello, presenterà in un dialogo col giornalista Pierangelo Pettenati il «Maroccolario», la raccolta di tutti i suoi lavori in studio realizzata da Giuseppe Pionca.

Le cose da dire sono tante, a partire proprio da quando i Litfiba iniziavano a farsi notare…

«Per la mia esperienza, fino a “17 Re” non avevo mai preso in considerazione il fatto che la musica potesse diventare un mestiere. Da quel disco, con l’aumento della nostra presenza all’estero, ho avuto la sensazione sia che la musica potesse diventare un mestiere sia che i Litfiba avevano un enorme potenziale. Grazie al confronto con palchi e artisti fuori dall’Italia è nata la consapevolezza che potevamo far parte del mondo della musica in maniera universale e non limitata a un fenomeno momentaneo».

Oltre al successo raggiunto, i Litfiba hanno permesso l’arrivo dell’ondata di artisti e band che ha caratterizzato gli anni ‘90. Avevate questa consapevolezza?

«Passare in pochi anni dalle esperienze nelle cantine a un fenomeno già affermato è stato un incentivo anche per noi. Gli anni ‘80 hanno decretato il successo di due fenomeni diversi, con peculiarità diverse, noi e i CCCP. Abbiamo fatto comprendere che, volendo, c’era la possibilità di fare musica altra e di farlo in maniera dignitosa, dando un contributo sociale e culturale ma anche facendo capire che era possibile trasformare una grande passione in un mestiere. Gli anni ‘90 hanno beneficiato del fatto che abbiamo buttato giù alcune porte che sembravano inamovibili. Fondamentalmente c’è sempre qualcuno che dà il la, poi il movimento si allarga e produce nuovi fenomeni».

Come è nato il «Maroccolario»?

«È un’idea di Giuseppe Pionca, appassionato sfegatato di musica, alla quale non mi sono opposto: gli ho solo detto di non contare troppo su di me perché ho una memoria relativa, perché alcune me le sono dimenticate per forza. E poi non sono un collezionista e non ho copie di tutto quello che ho fatto».

C’è qualche ricordo a cui sei particolarmente legato?

«Ce ne sono parecchi, al di là delle collaborazioni di prestigio e dei miei progetti di gruppo, ciò che più mi rende orgoglioso è che nel 95% dei casi ho prodotto gruppi che erano alla loro opera prima. Alcuni di loro poi hanno proseguito e grazie al cielo hanno anche avuto il successo meritato. Altri no, ma sono contento di aver investito il mio tempo, la mia energia, quel poco che so in progetti che hanno permesso ad artisti di fare in maniera dignitosa la loro opera prima e poi aprirsi un percorso».

r. s.

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