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LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Omicidio di piazzale Salsi, i giudici: «Nessuna colluttazione, fu Rabhi a scagliare la bottigliata mortale»

Omicidio di piazzale Salsi, i giudici: «Nessuna colluttazione, fu Rabhi a scagliare la bottigliata mortale»

di Georgia Azzali

29 Agosto 2023, 03:01

Gli insulti. Poi un pugno al volto. E il black out. Finché aveva riaperto gli occhi e aveva visto Ali Bouali a terra, in fin di vita. Le aveva raccontate così, Moncer Rabhi, davanti alla Corte d'Assise, le sequenze drammatiche di quella sera del 14 giugno 2021 in piazzale Salsi. Ma per i giudici fu lui, tunisino, 40enne, accusato di omicidio preterintenzionale, a scagliare una bottigliata sulla testa di Bouali, 47 anni, stessa nazionalità, casa e famiglia a Parma da tempo. La ricostruzione di Rabhi, che aveva riferito di essere stato ingiuriato e subito dopo colpito da Bouali perché se ne andasse dal parco, «risulta sfornita di qualsiasi riscontro probatorio e anche in contrasto con quanto accertato dai poliziotti, che non hanno notato sulla persona dell'imputato segni sul volto riconducibili a una colluttazione, che avrebbero dovuto essere evidenti se effettivamente Rabhi fosse stato colpito da pugni tanto violenti da fargli perdere addirittura conoscenza», scrivono i giudici nella motivazione della sentenza che lo scorso maggio l'ha condannato a 6 anni e 8 mesi riconoscendo l'attenuante della provocazione.

Per una settimana Bouali aveva resistito in un letto del Maggiore, poi il suo cuore aveva ceduto. Quella sera d'estate, nell'area verde di piazzale Salsi, si erano ritrovati in tre: oltre a Bouali, anche altri due amici, sempre tunisini, Hafed Kaddachi e Mohamed Slimani. Rabhi sarebbe arrivato in un secondo momento, dopo aver telefonato a Kaddachi, perché aveva saputo che da poco aveva perso la moglie. Si sarebbe trattenuto un po', se ne sarebbe andato e poi sarebbe tornato nuovamente. Rabhi ha invece raccontato di essere arrivato in piazzale Salsi perché chiamato da Kaddachi. Ma perché Bouali sarebbe stato colpito? E soprattutto da chi? Sono Kaddachi e Slimani, fin dal primo momento, a puntare il dito contro Rabhi. E le loro dichiarazioni, secondo i giudici, «risultano pienamente credibili, in quanto precise, dettagliate e sostanzialmente coerenti». Rabhi si sarebbe toccato le parti intime ridacchiando: un gesto che avrebbe infastidito molto Bouali. E dopo qualche parola accesa, Bouali avrebbe schiaffeggiato Rabhi. La sua reazione? Prima le minacce, poi il lancio della bottiglia di birra piena.

Un punto centrale, per la difesa, quello del colpo, che invece sarebbe stato sferrato a distanza ravvicinata, come avrebbe evidenziato il medico legale Donatella Fedeli. «In realtà - si legge nella sentenza - il consulente ha solo riferito che appariva più probabile che il colpo fosse stato inferto impugnando la bottiglia, per la difficoltà di centrare la testa con il lancio di una bottiglia».

Eppure, secondo la difesa, le parole di Kaddachi e Slimani sarebbero infarcite di falsità. «Sono state ritenute quasi come un atto di fede - sottolinea l'avvocato Michele Cammarata - e non sono state affrontate tutte le contraddizioni che abbiamo fatto emergere. Naturalmente faremo appello».

Insomma, uno dei due testimoni potrebbe essere in realtà l'uomo della bottiglia. Ma la risposta dei giudici è netta. «Ben avrebbe potuto l'imputato spiegare come si sono svolti i fatti - scrivono nella sentenza - senza inventarsi una ricostruzione totalmente inverosimile e non credibile».

Georgia Azzali

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