SCIENZA
Verrà un giorno in cui, grazie ai neuroni specchio, un portiere capirà dove l’avversario sta per calciare un rigore? Può darsi. Intanto, le applicazioni della rivoluzionaria scoperta “parmigiana” si moltiplicano: e proprio lo sport è uno degli ambiti nei quali si stanno ottenendo risultati molto importanti. Incredibili per noi comuni mortali, ma non per il professor Giacomo Rizzolatti e la squadra di neuroscienziati della sede di Parma dell’Istituto di Neuroscienze del CNR (composta da Pietro Avanzini, Maddalena Fabbri Destro, Simone Paolini e Paolo Presti), che da tempo studiano come, sfruttando il sistema dei neuroni specchio, si possa migliorare un gesto tecnico o prevedere un comportamento dell’avversario.
NEURONI SPECCHIO E RIABILITAZIONE
Un passo indietro. I neuroni specchio sono cellule nervose del cervello: la scoperta (datata 1992) ha permesso di capire che, quando osserviamo qualcuno compiere un gesto, proprio questi neuroni motori si attivano come se fossimo noi a compiere lo stesso gesto. Sono alla base dell’empatia, dell’imitazione, della socialità.
Le potenziali applicazioni sono pressocché infinite, si stanno studiando da decenni. «Abbiamo visto come un paziente colpito da paralisi in seguito a un ictus migliori, se gli si fanno vedere azioni che era in grado di compiere – spiega Rizzolatti – perché la sola osservazione riesce a tenere allenato il sistema motorio cerebrale anche al di là delle capacità attuali di movimento del paziente. Questo è stato l’inizio: poi le applicazioni si sono moltiplicate: nella riabilitazione dei malati di Parkinson, di sclerosi multipla, dei bambini con paralisi cerebrale infantile. E anche nella riabilitazione dopo interventi ortopedici: i tempi di recupero si accorciano, il dolore si riduce molto».
GLI STUDI NELLO SPORT
I pazienti che hanno bisogno di recuperare funzionalità motorie non sono i soli potenziali fruitori delle ricerche sui neuroni specchio: anche le persone sane e perfino i grandi campioni dello sport possono trarre grandi benefici. Nello sport, i campi di applicazione sono due: l’osservazione di una determinata azione può fare migliorare il gesto tecnico e la performance motoria e anche aiutare ad anticipare i gesti dell’avversario. Spiega il ricercatore Pietro Avanzini: «L’osservazione non incide tanto sulla forza, ma può dare grandi risultati sulla coordinazione, sulla sinergia tra gli arti e, più in generale, sulla componente tecnica del gesto».
Pensiamo, per esempio, a un tiro libero nel basket, a un calcio piazzato nel rugby, allo swing di un golfista: sono tutti gesti sequenziali, nei quali la postura, la posizione, il susseguirsi di diversi atti motori sono decisivi per il buon risultato del gesto.
«Se un atleta, prima di eseguire il gesto, guarda un video nel quale lo stesso gesto è eseguito in modo tecnicamente perfetto – dice Avanzini –, una parte del sistema motorio si attiva, come se lo stesse eseguendo lui. E se, immediatamente dopo, è chiamato a eseguire quel gesto, ha una sorta di traccia magnetica ed è più probabile che il flusso elettrico del suo sistema motori segua quella traccia».
LA “MEMORIA” DEL GESTO
Quante volte abbiamo osservato un campione di salto in alto che, prima di partire con la rincorsa, chiude gli occhi e mima, lentamente, la sequenza del gesto che sta per eseguire? «Non si pensi che si sta concentrando – spiega Rizzolatti –. Sta rivedendo il salto, passo dopo passo, dentro di sé. Ci sono studi che hanno dimostrato come questo “ripasso” mentale permetta di esprimere una potenza maggiore in fase di stacco».
«Osservare un gesto tante volte per imparare a farlo bene non è sufficiente – spiega la ricercatrice Maddalena Fabbri Destro –. I momenti fondamentali sono tre: l’osservazione, l’immaginazione motoria e l’esecuzione: l’insieme delle tre fasi permette di immagazzinare un gesto». Tradotto: avere più probabilità che il tiro libero centri il canestro, il calcio piazzato vada a segno, il colpo del golfista sia ben fatto.
È evidente che queste fasi vanno sfruttate in allenamento: non si può certo portare un monitor sul campo di gioco, né usare un visore (nel quale i ricercatori possono fare scorrere immagini di atleti in carne e ossa o utilizzare avatar): ma, a quel punto, l’atleta immaginerà il gesto “dentro di sé” e poi lo eseguirà.
Anche un grande campione come Tiger Wood, quando era il dominatore assoluto del golf mondiale, aveva una tecnica che conferma in pieno questa teoria: prima dei tornei importanti, guardava e riguardava i filmati delle sue prestazioni migliori, ma selezionava solo le buche in cui era stato sotto il par, non riguardava mai gli errori. Probabilmente non aveva mai sentito parlare dei neuroni specchio, ma la tecnica funzionava, eccome.
“LEGGERE” LE MOSSE DELL’AVVERSARIO
Negli sport di squadra sapere “leggere” in anticipo la mossa di un avversario o anche capire una frazione di secondo prima degli altri dove e come il compagno di squadra passerà la palla è fondamentale. Il “segreto” (si legga: il modo migliore per sfruttare l’attivazione dei neuroni specchio) sta, per esempio, nell’allenarsi anche in ruoli diversi dal proprio. «Un giocatore è tanto più bravo a capire un gesto quanto più lo sa fare – spiega Avanzini –. Nel calcio, un difensore non deve necessariamente saper dribblare: deve soprattutto evitare di essere dribblato dall’attaccante che sta marcando. Ma se in allenamento impara cosa significa, dal punto di vista motorio, dribblare, in partita saprà anticipare meglio le mosse e le finte dell’avversario. Analizzare solo visivamente il modo di dribblare non è sufficiente. Ci sono studi che lo dimostrano».
«Allo stesso modo, per “leggere” meglio il comportamento di un compagno di squadra – prosegue il ricercatore – è bene che un ragazzo provi a giocare in tutti i ruoli. Questo vale soprattutto per i settori giovanili. Se allenati ad eseguire tutti i gesti tecnici propri di uno sport, grazie ai neuroni specchio i ragazzi dei settori giovanili avranno dei modelli motori interni a cui attingere e capiranno meglio e prima degli altri come si svilupperà l’azione. Sapere giocare in tutti i ruoli quando si hanno 15-16 anni rende giocatori migliori in età adulta».
Il principio è lo stesso anche per le squadre di vertice. «Un preparatore di portieri ci ha spiegato che, a fine allenamento, i portieri si esercitano calciando una serie di rigori – dice Maddalena Fabbri Destro –. Questo permette, grazie ai neuroni specchio, di immagazzinare un bagaglio motorio importante, che verrà utile quando in partita i rigori dovranno cercare di pararli».
LA MARCIA IN PIÙ DEI CAMPIONI
I grandi atleti sanno anche “vedere” il futuro. Sembra una battuta, ma non la è. «Uno studio sul basket lo dimostra – spiega Rizzolatti –. Sono stati proiettati dei video di esecuzioni di tiri liberi; immediatamente dopo il gesto del tiro, il video si interrompeva. Alla domanda “la palla va nel canestro?”, i top player hanno azzeccato la risposta giusta quasi sempre, gli altri con una percentuale enormemente inferiore. Anche i giornalisti specializzati sono stati un disastro, perché si intendono di basket ma non l’hanno mai praticato. Questo spiega la grande differenza tra esperienza visiva e esperienza motoria». E sono, ancora una volta, i neuroni specchio ad assicurare l’esperienza motoria.
Identico risultato in uno studio eseguito a Parma nel rugby: sono stati mostrati video di calci piazzati interrotti subito dopo il calcio: anche qui, solo i giocatori che calciano abitualmente i piazzati hanno indovinato quasi sempre l’esito. «Questo rafforza l’idea che l’esperienza motoria del gesto è quell’elemento in più che ti permette anche di capire meglio quando osservi lo stesso gesto eseguito da un altro e ti dà quella capacità di predizione che negli sport di squadra diventa fondamentale», osserva Maddalena Fabbri Destro.
RECUPERI LAMPO
Accelerare i tempi del recupero degli infortunati è il sogno di tutti gli allenatori. La “tecnica” per sfruttare i neuroni specchio che viene applicata per altre patologie è la stessa. Ma c’è molto di più. Spesso l’infortunio rende impossibile l’esecuzione di qualsiasi gesto: il giocatore di basket che si trovi il gomito bloccato per settimane soffre un danno che va ben oltre la guarigione dalla frattura o dalla distorsione subita. «Questo ha un effetto dirompente, soprattutto sui gesti complessi – dicono Avanzini e Fabbri Destro –. I giorni di inattività alterano completamente lo schema motorio del braccio e, quando il giocatore può tornare a muoverlo, impiega molto tempo per riprendere a tirare come prima dell’infortunio: oltre al problema muscolare, c’è il tema del controllo neurologico del gesto».
«Abbiamo fatto un esperimento in laboratorio, immobilizzando per sedici ore la spalla e il gomito a un gruppo di studenti di Medicina. Abbiamo chiesto loro di fare gli stessi gesti, per osservare come li facevano prima e dopo l’immobilizzazione. A metà di loro abbiamo fatto osservare quei gesti con un visore durante le ore di immobilizzazione, all’altra metà no. Il risultato è stato che il decadimento delle performance motorie è addirittura dimezzato in quelli che si sono “allenati” con la realtà virtuale. Pensi a che impatto può avere questa cosa su un top player costretto a stare fermo per due settimane: non solo il periodo di recupero si accorcia, la qualità dei suoi gesti e del suo gioco è conservata. Ed è un sistema assolutamente non invasivo, molto semplice: deve solo osservare dei gesti ben eseguiti mentre è costretto a stare fermo».
ERRORI “INSPIEGABILI”
C’è un altro tema che affascina molo i neuroscienziati: provare a capire il perché di errori banali commessi da grandi fuoriclasse. Una scena-tipo: il centravanti che in un contropiede semina gli avversari, corre palla al piede per cinquanta metri e, a tu per tu con il portiere, sbaglia un gol che sembrava già fatto. Gianni Brera, ben prima che i neuroni specchio fossero scoperti, scriveva che l’errore era dovuto alla scarsa irrorazione del cervello, dopo la lunga corsa. «Aveva ragione – garantisce Rizzolatti –. Lo stiamo provando in uno studio in corso all’Humanitas: facciamo affaticare i soggetti, che pedalano su una cyclette, misurando frequenza cardiaca, scambio di ossigeno e altri valori, e facciamo a intervalli regolari test cognitivi e motori. Il risultato è che la fatica sembra impattare poco sui test e molto sulla parte motoria. Se proiettiamo il video di un tiro a canestro e chiediamo “la palla andrà dentro?”, gli errori sono molto frequenti. Perché il “serbatoio” è lo stesso: quindi un atleta iper affaticato sarà meno in grado, per esempio, di capire i movimenti dell’avversario. Ecco perché il centravanti solo davanti al portiere sbaglia il gol, o il difensore che corre per sessanta metri inseguendo l’attaccante sarà meno lucido nel capire le sue finte e non riuscirà a non farsi dribblare». Il “colpevole”? Semplice: il sistema dei neuroni specchio.
LA COLLABORAZIONE CON I PROFESSIONISTI
Intanto, la voce degli studi che il Centro di ricerca parmigiano del Cnr sta realizzando sta facendo il giro d’Italia (e non solo). Tra le prime società a collaborare con il professor Rizzolatti e il suo team è stata l’Atalanta (il cui preparatore atletico della prima squadra e da tempo figura di riferimento dei preparatori del settore giovanile, Gabriele Boccolini, è da tempo molto interessato: nel 2015 ha pubblicato il libro Neuroni specchio e allenamento. Teoria e pratica da campo). Sono poi nate collaborazioni con le Fiamme Oro di rugby e la Federazione italiana rugby (con Andrea di Giandomenico e Marco Rossini) e con la Federazione ginnastica d’Italia.
«Abbiamo scoperto – spiegano i ricercatori – che esistono allenatori e preparatori intelligenti che da dieci-quindici anni applicano tecniche che si ispirano, senza che loro lo sappiano, ai principi neuroscientifici. La nostra collaborazione è utile perché se sai che una cosa funziona, ma senza conoscerne il motivo, procedi per prove ed errori. Se sai che funziona perché c’è sotto un principio scientifico, riesci a ottimizzare il processo e a sfruttarlo al massimo. Non insegniamo cose radicalmente nuove, ma spieghiamo perché funziona quello che erano già abituati a fare, cerchiamo di trovare un punto di convergenza per poter spingere al massimo e diamo sistematicità. Quindi dimostriamo che la cosa sta funzionando e misuriamo i miglioramenti».
Verrà un giorno in cui, grazie ai neuroni specchio, un portiere capirà dove l’avversario sta per calciare un rigore? Può darsi davvero. Sembra fantascienza, ma non la è. È la meraviglia del nostro cervello.
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