Ospedale vecchio
Poteva bastare Eitan, 12 anni, la faccina sorridente mentre abbraccia il suo cagnolino, a raccontare l'orrore di una guerra atroce. Invece ci sono anche Ariel, che di anni ne ha 4, Aviv di 2, Gadi di 80, Yair di 56, Ron di 34, e ancora Efrat, Shoshan, Shiri e Yarden. E così via, per centinaia e centinaia di volte. Sono i volti e i nomi dei bambini, delle donne e degli uomini israeliani rapiti da Hamas lo scorso 7 ottobre.
La campagna di sensibilizzazione «Rapiti» ha fatto irruzione anche a Parma, come in molte altre città italiane e del mondo occidentale. Non passavano inosservati i manifesti affissi sulle colonne del porticato dell'Ospedale vecchio in via D'Azeglio. Decine di immagini, che riportavano nomi, età e fotografie delle persone scomparse, nottetempo strappate via, a riprova dell'ondata di odio dilagante.
Sotto ognuna delle immagini, come un mantra, campeggiava la scritta terribile: «Quasi 200 civili israeliani innocenti sono stati rapiti e portati nella Striscia di Gaza. Le loro condizioni rimangono sconosciute. Più di 3000 donne, uomini e bambini di età compresa fra i 3 mesi e gli 85 anni sono stati feriti, uccisi, picchiati, violentati e separati brutalmente dai loro cari da Hamas. Aiutaci per favore a portarli a casa vivi». La firma è #KindnappedFromIsrael.
Il progetto dei manifesti si sta diffondendo dopo essere stato lanciato in rete da un piccolo gruppo di israeliani che vivono a New York, guidati dagli artisti Nitzan Mintz, poeta-artista visuale, e Dede Bandaid, urban artist, entrambi di Tel Aviv, su ideazione di Tal Huber, in collaborazione con Shira Gershoni, entrambi esperti di marketing.
A chiunque si imbatta nella galleria di ritratti l'invito a condividere l'appello per la liberazione. Su ogni manifesto il QrCode per accedere al sito creato per raccontare lo strazio, con la possibilità di sottoscrivere la petizione che chiede il rilascio degli ostaggi.
Su www.kidnappedfromisrael.com non solo le immagini dei rapiti, ma anche i video dell'attacco ai civili messo in atto dai terroristi di Hamas, sequenze drammatiche di fughe, di incursioni armate nelle abitazioni, di percosse e aggressioni. La comunità israeliana si mobilita, dunque, per dare voce a chi non può parlare. Per tenere acceso il lume della speranza. Dopo l'iniziativa nel quartiere ebraico di Roma, dove è stata apparecchiata una tavolata con oltre 200 coperti rimasti vuoti, in occasione dello Shabbat, il sabato destinato al riposo, la campagna «Rapiti» si sta espandendo in molte altre città. Anche a Torino, anche nel ghetto ebraico a Padova sono comparsi i manifesti. Anche lì sono stati strappati, ma il segno dell'orrore compiuto resta vivo come un marchio a fuoco.
Katia Golini
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