DRAMMA
Lo hanno fermato sei ore dopo l'omicidio mentre vagava, confuso e smarrito, dalle parti dell'ospedale Maggiore. A poca distanza da via Faelli, là dove aveva ucciso, verso le 20 di lunedì sera, un compagno di stanza. Il fendente lo ha sferrato all'improvviso, senza un perché. È stata una coltellata precisa e letale inferta al collo quella che ha ucciso sul colpo Rabby Ahmed, 21enne originario del Bangladesh in Italia da circa tre anni. Faceva il lavapiatti, ma al momento era senza lavoro. Quando è stato colpito a morte era a letto, forse si era addormentato.
Il presunto assassino, Md Rabbi Hosen, 23 anni, è un suo connazionale. Ora si trova nel carcere di via Burla dopo che i carabinieri della sezione radiomobile lo hanno intercettato alle 4.15 di ieri. Al momento del fermo era stordito. Con sé non aveva l'arma del delitto, ma avrebbe avuto un altro coltello.
Ieri è stato visitato in carcere da Roberto Cavalieri, garante regionale dei detenuti, mentre domani è fissato l'interrogatorio di garanzia: per lui l'accusa è di omicidio aggravato. Dopo il meticoloso lavoro di indagine della squadra Mobile, la dinamica dell'omicidio è uscita dal cono d'ombra. Resta però il buio sul perché? Follia, è la risposta.
«Chi ha ucciso non ha voluto ammazzare un amico, ma un fantasma. Non c'è stato alcun litigio prima della coltellata. Si è trattato di un raptus». Il responsabile dell'appartamento non si dà pace. Il giorno dopo l'omicidio è nel cortile della Leone Rosso, la cooperativa che ha in carico il Cas che si affaccia su via Volturno e che ospitava 8 richiedenti asilo. «Questo non è un omicidio che nasce dal degrado. Sono tutti ragazzi modello, educati, che volevano imparare l'italiano e che volevano lavorare».
Ma allora che cos'è successo lunedì in via Faelli? «Questo è un delitto scatenato dalla follia che ha travolto due persone che si volevano bene». Anche il comunicato diramato dalla questura conferma che l'aggressore è «affetto da disturbi psichici».
E allora, bisogna fare un passo indietro di qualche giorno, perché anche i raptus possono avere qualche segnale premonitore. Primo campanello d'allarme. Il 20 ottobre il 23enne avrebbe chiamato un'ambulanza per farsi portare al pronto soccorso: i primi «fantasmi», come dice chi lo ha conosciuto in questi anni, iniziano a tormentarlo e lui ha bisogno di far tacere quelle voci.
Passa qualche giorno e la situazione peggiora. Gli operatori della cooperativa contattano anche un suo cugino e lo fanno venire da Verona nel tentativo di tranquillizzarlo. Il presunto omicida ha paura di essere ucciso e arriva perfino a temere di essere avvelenato con il cibo.
La paranoia dilaga e ruba spazi di lucidità, tanto che il 23enne inizia a girare con un coltello, che gli viene subito sequestrato appena la notizia arriva alle orecchie dei gestori dell'appartamento. Gli stessi operatori della Leone Rosso il 24 ottobre lo riportano al pronto soccorso e stanno con lui fino a quando ci sarebbe stato un colloquio con uno psichiatra. Il disagio era ormai evidente, per questo ci sarebbe stato un contatto con lo Spazio salute immigrati, ma dopo alcune verifiche Ausl fa sapere che il 23enne non risulta essere in carico ai Servizi di salute mentale.
Si arriva a lunedì sera: il 23enne è in cucina con altri due ragazzi, si allontana per andare in bagno e poi si dirige nella camera in cui sta riposando l'amico. Lo accoltella alla gola senza dire nulla poi passa davanti ad uno degli ospiti del Cas e gli dice di chiamare la cooperativa. Esce di casa e inizia a vagare nella notte, prima di essere fermato dai carabinieri.
«La vittima era dolce, socievole, disponibile. Per un periodo ha lavorato come lavapiatti in città. Pareva un bimbo e gli mancava la mamma rimasta in Bangladesh», raccontano dalla Leone Rosso. Il papà, che vive a Roma da 30 anni, e un fratello di Rabby Ahmed sono arrivati a Parma.
Il suo aggressore era più riservato, un gran lavoratore, era diventato un cuoco e guadagnava bene. Rimasto senza lavoro, stava per riprendere a breve, ma qualcosa nella sua testa si era rotto.
«Ciò che è accaduto in via Faelli è motivo di grande tristezza e turbamento per la nostra città e il pensiero va prima di tutto alla vittima di questo omicidio, sorpresa nel sonno e senza che ci fossero ragioni che potessero lasciar sospettare un gesto del genere», scrive il sindaco. «È una vicenda che ci parla di violenza e fragilità e che, oltre le reazioni di pancia, invita ad un pensiero serio sui temi della salute mentale e del benessere o malessere sociale».
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