La storia
Emma, chiamiamola così, è una bambina speciale che sta imparando a dire «mamma» e «papà»: è affetta da una disabilità cognitiva, che però non le impedisce di andare a scuola e di vivere la mattina insieme ai compagni di classe.
Ma al pomeriggio no, «non si può», dice la mamma. Con l'ultima campanella, Emma vorrebbe tanto fermarsi in palestra e giocare a minibasket con gli amici in uno di quei corsi non gestiti dalla scuola: un desiderio che per ora rimane un sogno: «Per il suo ritardo mentale - continua la mamma - avrebbe bisogno di un sostegno durante il corso di minibasket, ma nelle ore extra scolastiche la figura dell'educatore è purtroppo assente, per cui mia figlia è esclusa».
Emma pur avendo un buon grado di comprensione è una bambina «non verbale», per cui ancora più piccola della sua età. Gira infatti con in mano una tabella di simboli, perché per comunicare con gli altri usa le immagini. E la palla è il suo disegno preferito. La stessa che salta su quel campo da minibasket, dove gli amici giocano e si divertono tanto. Ed Emma sta lì a guardare, senza capire il motivo per cui no, in quella squadra ancora non ci può entrare. «E pensare che sono state le maestre a consigliarci di iscriverla al corso sportivo - ricorda la mamma -, proprio per la passione che ha per la palla e il canestro. Purtroppo, mi hanno detto che durante quei corsi e non per colpa della scuola manca l'educatore e, senza, mia figlia non può frequentare, in quanto per stare in gruppo ha bisogno di un supporto». E così Emma va a casa e ritorna alla sua solitudine di bambina speciale, a cui è vietata la normalità di vivere il pomeriggio sportivo con i compagni di classe: «Mia figlia come tutti i bambini disabili ha bisogno di essere inclusa, non esclusa - sottolinea la mamma -. È un suo diritto poter giocare a palla con gli altri, ma per il momento è un diritto negato. E noi genitori possiamo solo illuderci che i nostri figli speciali possano avere le stesse possibilità degli altri bambini. Rabbia sì, a cui si aggiunge un grande senso di impotenza e di frustrazione». La mamma di Emma per denunciare «un atto discriminatorio che nel 2023 mi sembra assurdo», dice, ha scritto anche una lettera alla Gazzetta di Parma, in cui ribadisce che i genitori hanno accettato volentieri il consiglio delle maestre di iscrivere la figlia ai corsi sportivi che vengono organizzati dopo l'orario scolastico, perché «la bambina oltre a fare sport ha bisogno di stare in contatto con i suoi pari - è scritto nella lettera di segnalazione della mamma -. Ebbene la nostra richiesta viene rifiutata poiché la bambina è disabile e non c'è copertura per lei. Intendo rendere pubblica questa nostra triste vicenda affinché si provveda a rendere lo sport accessibile a tutti, disabili inclusi».
Walter Antonini, presidente dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, si impegna da sempre per tutelare i disabili. E lo fa a 360 gradi: «Prima di tutto, dobbiamo dirci che siamo di fronte all’ennesimo caso in cui una ragazza fa una fatica enorme, lei con la sua famiglia, a trovare un contesto dove praticare sport insieme ai coetanei - premette Antonini -. Non dimentichiamo che lo sport è recentemente entrato in Costituzione, quindi riconosciuto nel suo valore educativo e sociale. Sappiamo però che la realtà quotidiana è diversa. Per questo, grazie all’operosità e sensibilità di varie realtà sportive, sociali, istituzionali e sanitarie, coordinate da Csv Emilia e Consorzio di Solidarietà sociale, esiste un progetto, "All Inclusive", che quest’anno riesce a dare risposta a 50 tra ragazze e ragazzi con disabilità intellettiva, permettendo loro di fare sport nelle squadre delle società tradizionali, accompagnati e guidati da tutor formati. Così, dove la scuola non può dare risposta, anche perché già alle prese con la scarsità di ore degli educatori in classe, ci devono pensare le società sportive, che stanno cambiando mentalità e devono diventare inclusive».
Mara Varoli
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