TEATRO DEL CERCHIO
Sofferenze di guerra. Crudeltà, lutti, dolori, di un’altra terra, ora con echi quotidiani da mondi vicini. Un’importante serata di densa, rigorosa, limpida teatralità con «Donna non rieducabile. Memorandum teatrale su Anna Politkovskaja» al Teatro del Cerchio, bravissima Ottavia Piccolo accompagnata dalle musiche d’arpa di Floraleda Sacchi, sua la composizione, suonate dal vivo.
Uno slittamento di tempi: avrebbe dovuto essere proprio questa grande attrice, presenza di alto rilievo nel teatro, nel cinema, una professionalità straordinaria, capace di assumere ruoli anche molto diversi, comici e drammatici, ad aprire la stagione di questo nuovo teatro, che ogni volta stupisce per il coraggio dell’impresa e la qualità dell’esito, solo un breve rinvio, avvolgente quindi l’accoglienza del pubblico del Teatro del Cerchio, sempre numeroso, interminabili alla fine gli applausi.
Davvero difficile trovare la giusta misura tra identificazione e straniamento in uno spettacolo con la figura di Anna Politkovskaja al centro, la giornalista uccisa che tenacemente raccontava, malgrado le intimidazioni, le minacce, la guerra dei russi in Cecenia: straordinaria l’attrice nel trovare, e conservare in infinite sfumature, questo complesso equilibrio facendo proprie le parole che Stefano Massini ha reso teatrali raccogliendole dagli articoli, dalle lettere di questa donna «non rieducabile», così come ricorda il titolo, testo pubblicato da Ubulibri nel 2007, l’anno dopo l’uccisone di Anna Politkovskaja.
Durante la reclusione pandemica si era recensito questo spettacolo nella versione cinematografica, sempre per la regia di Silvano Piccardi, «Il sangue e la neve»: allora le parole erano ancor più in forma di memoria, camminando tra i resti di una struttura abbandonata, ricordi per «Fagotto umano», «Fosse di Kotuni», «Carne bruciata», ventuno capitoli, l’ultimo, «Epilogo», descrive la morte di Anna, «Era tornata a casa dopo aver fatto la spesa…».
C’è una sorta di speciale quiete di dolore mentre l’arpa commenta anche con sbalzi di strazio: sembra sia lo sguardo a far emergere quelle visioni così scandite, quasi versi ritmati, uno sguardo consapevole che lascia intravedere anche impotenza, fragilità.
Non è facile evocare qui alcuni di quegli episodi, la testa mozzata del guerrigliero appesa, in piazza, a un tubo dell’immenso gasdotto che attraversa la Cecenia, sangue che gocciola, «lentamente, precisamente». Legare un gruppo di persone, porre in mezzo una granata e farla esplodere: questo spiega un ragazzo delle unità russe, bisogna ucciderne una certa quantità al giorno… «Qui lo stupro è legale», spiega un medico, alcune sale dell’ospedale sfondate da colpi di mortaio.
La corruzione tra i militari, i ricatti, le angherie: Ottavia Piccolo siede a tratti al tavolino, sfoglia le carte.
In alcuni passaggi l’immedesimazione si fa assoluta, come per il tentativo di avvelenamento o gli interrogatori. Muta la luce, quasi a scandire quei capitoli di sofferenza.
Alla fine, con l’epilogo in terza persona, «l’hanno uccisa quattro colpi di proiettili», Ottavia Piccolo si gira ed entra nel buio del fondo della scena. Le ultime note. Gli applausi scroscianti. Fiori, quei lunghi saluti, con l’attrice che ha voluto accanto a sé Mario Mascitelli, infinitamente grata per la nascita di quel nuovo teatro, davvero bellissimo.
Valeria Ottolenghi
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