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Appello

Genco, così si è sfiorato l'ergastolo

Genco, così si è sfiorato l'ergastolo

di Roberto Longoni

23 Novembre 2023, 03:01

Bologna Domanda perdono a tutti, Mirko Genco. La voce monocorde, forse per l’emozione o forse per la sua totale mancanza, legge un foglio scritto nel braccio protetti a Modena. Dopo una completa ammissione di colpa («In cella non ho fatto che pensare a quanto ho commesso») prosegue con un elenco. Parte da Dio, il 27enne parmigiano condannato ieri in appello a 30 anni e 8 mesi (questi ultimi per le tre evasioni dai domiciliari) per l’uccisione di Juana Cecilia Loayza, l’ex fidanzata peruviana 34enne stuprata due volte, strangolata, lasciata agonizzante nel parco della Polveriera e poi accoltellata a morte alle prime ore del 19 novembre 2021. A Reggio, l’altra sera, il secondo anniversario del delitto è corrisposto anche alla commemorazione di Giulia Cecchettin. Due anni, da allora: misurati in femminicidi, un abisso di orrore. Si avverte un dolore stratificato, ormai, a varcare la soglia dei tribunali per confrontarsi con il troppo tardi.

«Non so se Dio potrà mai perdonarmi - aggiunge Genco, - e a Lui chiedo perdono anche perché non posso domandarlo a Cecilia». Poi, cita «soprattutto il piccolo Alessandro (il figlio di 4 anni avuto dalla donna da una precedente relazione, ndr): gli ho tolto la mamma e so cosa significhi». L'uccisore di Juana Cecilia, figlio di Alessia Della Pia, massacrata di botte in via dei Bersaglieri nel 2015, ha parole anche per il padre affidatario, Massimo Ghirardi, l'unico a essere venuto da Parma, che lo prese in casa undicenne. Chiede scusa anche a Dina, la madre di Cecilia. Ma le sue parole affogano nelle lacrime della piccola grande 66enne, costretta da due anni a essere forte: quella notte maledetta è diventata orfana di Cecilia e mamma di Alessandro. Lei non gli crede. «Le sue frasi suonano false e tardive. È pericoloso e deve stare “cerrado”», mormora. Piangerà, ma di sollievo, anche alla lettura della sentenza, prima di esprimere solidarietà alla famiglia Cecchettin.

E meno della Corte d’assise di Reggio Emilia, che lo aveva condannato a 29 anni e 3 mesi in tutto, perdona Genco la Prima sezione d’appello di Bologna. La cui giuria presieduta da Orazio Pescatore infligge un anno e 9 mesi in più per i capi d’imputazione legati alla notte dell’omicidio (il massimo della pena, escluso l'ergastolo) e 4 mesi in meno per le evasioni dai domiciliari precedenti il delitto.

Accolte quindi le tesi del procuratore generale Antonella Scandellari, che chiede l'assorbimento del reato di tentato omicidio da parte dell'omicidio e propone che, a differenza del giudizio di primo grado, il detenuto sia condannato anche per rapina (quando, mentre la vittima agonizzava, prese le chiavi dalla sua borsa per andare nella casa di lei a recuperare un coltello per infliggerle i fendenti fatali). Contesta, il procuratore generale, anche il passaggio delle motivazioni della sentenza di Reggio che sottolineava come la mancanza di pentimento fosse affar suo. «E no, è affare anche nostro» spiega, arrivando per altre strade a chiedere a sua volta l'ergastolo.

Che Genco avesse problemi di personalità, come accertato dalla perizia, lo riconosce anche Giovanna Fava, avvocata di Dina che si è costituita parte civile. «Per questo doveva frequentare il corso di recupero per maschi maltrattanti e non evitarlo, dopo aver ottenuto il patteggiamento». È bastata la sua parola perché lo si lasciasse libero, e per questo «siamo tutti responsabili della morte di Cecilia». Giovanna Fava si associa alla richiesta di Antonella Scandellari, così come Berenice Stridi, legale di del Comune di Reggio a sua volta costituito parte civile. E come Samuela Frigeri, l'avvocato che assiste l'associazione Nondasola: «Cecilia ha pagato per non essere rientrata tra le figure stereotipate della donna».

Sull'altro fronte, Vincenzo Belli, nuovo difensore di Genco, ricorda come il suo assistito abbia «fornito subito piena testimonianza» e come sia stata travagliata la sua vita. «Sia esemplare, la pena - ammette - ma che possa consentire a quel bambino sfortunato che è stato il mio assistito di seguire un percorso di riabilitazione». Alle sue parole seguono le richieste di perdono di Genco. Con la speranza «un giorno di essere un uomo migliore». Dovrà passare ancora più tempo perché possa dimostrarlo al «mondo di fuori».

Dal nostro inviato Roberto Longoni

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