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IL MARITO IN SILENZIO DAVANTI AL GIUDICE

Meena uccisa per le piante portate in casa: «C'è disordine»

Meena uccisa per le piante portate in casa: «C'è disordine»

di Georgia Azzali

02 Dicembre 2023, 03:01

Aveva portato a casa alcune piante Meena. Un po' di trambusto. Un leggero disordine. Ed è bastato questo, martedì mattina, per far scattare la «punizione» del marito. Che prima l'ha scaraventata a terra e poi ha cominciato a colpirla con ferocia al volto, alla testa e sul corpo con la mazza da cricket, inseguendola fino alla porta d'ingresso. Le accuse nei confronti di Lal Onkar, indiano, 66 anni come Meena, sono un distillato di brutalità. L'omicidio è aggravato, oltre che perché commesso nei confronti del coniuge, anche dai futili motivi e dal fatto di essere avvenuto in un contesto di maltrattamenti che sarebbero andati avanti da oltre 25 anni. Tutte aggravanti che significano: ergastolo.

Ma ieri Onkar ha preferito il silenzio. Un suo diritto e una scelta difensiva per potere approfondire il caso e valutare le prossime mosse. Ha deciso di non rispondere alle domande del gip durante l'interrogatorio di garanzia. Ma non ha avuto nemmeno parole di pietà per Meena. Piccola ed esile, ancora più fragile rispetto a quell'uomo che la sovrastava e l'ha finita mentre tentava di scappare. «Avrei voluto che facesse alcune dichiarazioni spontanee, ma è ancora molto provato e inoltre ha notevoli difficoltà linguistiche, non saprei dire se perché effettivamente ha una scarsissima conoscenza dell'italiano oppure per quanto accaduto. Valuteremo poi un interrogatorio davanti al pubblico ministero», spiega il difensore Stefano Antenucci.

Fin dal 1997, secondo quanto emerge nell'ordinanza di custodia cautelare, Meena avrebbe dovuto subire insulti, umiliazioni, minacce. «Ditele di stare tranquilla, perché se prima o poi mi parte... la faccio fuori», avrebbe detto Onkar ai figli. Era lui, poi, a gestire i soldi che Meena guadagnava spaccandosi la schiena con i lavori di pulizia. E se decideva di uscire con gli amici, l'ordine per lei era quello di stare a casa.

Ma tra quelle quattro mura non sarebbero mancate nemmeno le violenze: negli anni scorsi era bastato che Meena gli chiedesse di indossare la mascherina, perché aveva una forte tosse, e lui l'avrebbe colpita con un bastone. Lo scorso maggio, inoltre, gli avrebbe stretto così forte un dito della mano che poi le era rimasto gonfio per giorni. Ma anche qualche settimana fa Onkar le avrebbe messo le mani al collo, stringendo, e spingendola verso la finestra.

Lui, custode di stalle, fino alla pensione, qualche anno fa. E Meena che si dava da fare con i lavori di pulizia. Una famiglia conosciuta a Salso, con quattro figli, uno dei quali residente con la moglie al piano di sopra della casa di via Trento, cresciuti in Italia e integrati. Tutti consapevoli di quei conflitti familiari. Di quegli atteggiamenti aggressivi del padre. «Ho parlato con uno dei figli e con la sorella - racconta l'avvocato Antenucci -. Mi hanno detto chiaramente che vogliono che il padre resti a lungo in carcere e sconti la sua pena, tuttavia non vogliono abbandonarlo. Vorrebbero anche incontrarlo, quando sarà possibile».

Sapevano di quei litigi. Di quel clima di violenza. «Ma ormai il padre e la madre, mi hanno riferito i due figli, vivevano da separati in casa - aggiunge Antenucci -. E speravano che così avessero trovato un certo equilibrio».

Quello che, invece, si era già spezzato da tempo. O forse mai era esistito.

Georgia Azzali

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