L'intervista
C'è nato con il 10 sulle spalle, Adrián. Lo ha portato sin da bimbo, quando giocava con gli amici: quando - come adesso - bastava un pallone per essere felici. Un richiamo del destino: solo che, allora, sulla maglia i nomi erano quelli di Messi e Ronaldinho, i fantasisti totali che facevano battere il cuore dei 99mila del Camp Nou. Mentre adesso il nome stampato a grandi lettere sulla casacca che indossa, quella crociata, è un altro: è il suo.
Non può essere uno qualunque «el diez»: non lo sarà mai. Nemmeno al Tardini, 763 chilometri e rotti da Barcellona, dove quella maglia da cui si attendono magie, quel numero con licenza di stupire, lo hanno indossato con orgoglio gente come Zola, Morfeo, Giovinco, Vazquez. E adesso tocca a lui: il giocatore umile e determinato che serve l'assist a Charpentier all'ultimo secondo, il ragazzino dell'eurogol alla Fiorentina, lo stesso della punizione capolavoro contro l'Ascoli. «Il 10? Lo indossavo già da piccolo, in Spagna: mi è sempre piaciuto. E sono felice di portarlo adesso che gioco nel Parma e di cercare di fare del mio meglio con quel numero sulla maglia». Parola dell'idolo della curva, che, visto così, sembra il ragazzo della porta accanto: gentile, sorridente, con la faccia da studente ma il guizzo di chi è già salito, e non da oggi, in cattedra, Un «dieci» di razza, Adrián Bernabé: che adesso si prepara a tornare a Cosenza, in quello stadio dove, due stagioni fa, segnò la prima, fantastica, doppietta. Rivelando a tutti il suo grande, purissimo, talento.
Il 10 è il numero che accende la fantasia i tifosi: lo hanno indossato grandi calciatori qui a Parma e ovviamente veri e propri miti del pallone in giro per il mondo. Al di là della soddisfazione, senti una responsabilità in più a indossarlo? Pesa avere quel numero sulle spalle quando si gioca?
«Sì, certo: è una responsabilità indossare il 10. Proprio perché come hai detto tu ci sono tanti grandi giocatori che lo hanno indossato non solo qui a Parma, ma in tutto il mondo. Ma è proprio per questo che mi piace tanto: perché mi piace sentire la responsabilità, credo di rendere di più quando sono sotto pressione. E poi sono da sempre un tifoso di calcio: e i campioni che più ammiravo da bambino, come Ronaldinho e Messi, avevano il 10».
Raccontami un po' di quegli anni, di quando eri bambino...: hai cominciato a giocare a pallone sin da piccolissimo?
«Sai, in Spagna, così come in Italia, c'è grande passione per il calcio: sin da quando sei piccolo prendi la palla subito. Mio padre mi portava a giocare già quando avevo 4 anni, vicino a casa. Poi ho cominciato a entrare in alcuni club, sono arrivato alle giovanili dell'Espanyol e da lì è partita la mia carriera».
Ma quand'è che hai capito che eri bravo, che giocare a calcio poteva essere il tuo mestiere?
«A essere sincero, la prima volta che ho pensato che il calcio potesse essere un lavoro è stato quando sono partito per Manchester. Prima di allota, perima di arrivare al City, ero un ragazzo che giocava solo per divertirsi. Anche quando giocavo al Barcellona o all'Espanyol ero comunque vicino a casa: facevo la stessa vita dei miei amici a scuola. Sì, mi allenavo al pomeriggio, ma facevo quello che mi piaceva. Ma quando ho avuto l'opportunità di partire per l'Inghilterra, di andare fuori da casa, e mi sono ritrovato da solo, è stata una svolta: ho capito che da lì dovevo crescere, perché volevo che quel divertimento potesse diventare il mio lavoro, la mia professione».
Sei partito per Manchester che eri ancora un ragazzino: è stato difficile stare lontano da casa? Magari lo è ancora?
«Adesso lo è meno, diciamo che mi sono abituato anche se sono una persona a cui piace molto stare con la sua famiglia: stimo la mia famiglia come loro stimano me. All'inizio però è stato difficile perché io avevo 16-17 anni, ero molto giovane: è stato uno step importante per me. Anche se è vero che in un certo senso le cose per me a Manchester sono state facili perché c'erano tanti spagnoli in squadra, mi sono trovato sin da subito molto bene. Però è vero che i tuoi genitori ti mancano sempre: io ho sempre abitato con loro, con mia sorella, con mia nonna... Hanno fatto tanti sacrifici per portarmi di qua e di là e ancora li fanno: sono venuti spesso a Manchester, vengono a vedermi anche a Parma. Questa per me è una soddisfazione in più».
Ti hanno visto anche segnare?
«Sì, sì: è stato importante per me. Mio papà è più abituato a venire a vedermi perché lavora dal lunedì al venerdì, così nel weekend è libero. Mia mamma invece riesce a venire meno, perché lavora anche di sabato e deve cercare di organizzarsi: era qui però l'altro giorno, alla partita contro il Palermo. È stato un momento bello perché anche se avevamo pareggiato e non avevamo vinto mi ha detto che le era piaciuta tanto la partita e come avevo giocato: e questo mi rende più orgoglioso di tutto il resto, di qualunque altra cosa, al di là di come sia finita. L'approvazione della mia famiglia è più importante di qualsiasi risultato».
Domani il Parma gioca a Cosenza, dove hai bellissimi ricordi: nell'aprile dell'anno scorso, hai segnato due gol, di cui uno, in cui ha saltato tutta la difesa, famosissimo, finito poi nella top 3 dei gol più belli della stagione in B. In un certo senso è un po' la partita che ti ha lanciato: cosa ricordi dui quel match?
«Sì, avevo fatto una bella partita a Cosenza due stagioni fa: è stata una partita importante per me quella, avevo segnato due gol penso belli, così almeno dicono, e mi era servita a mettermi in mostra un po' di più. Ora ci torniamo e so che non sarà semplice: è uno stadio al Sud, difficile, con un ambiente caldo: l'anno scorso abbiamo perso lì, quindi è vero che ho la soddisfazione di quella partita di due anni fa ma ancora brucia la sconfitta del campionato scorso. Dobbiamo approfittare del momento della squadra per andare a vincere questa volta».
Ecco, come vedi il momento del Parma? Mi sembrate molto convinti quest'anno dei vostri mezzi e delle vostre possibilità. Mi sembrate molto in fiducia, sbaglio?
Sì, è vero: siamo un grande gruppo, c'è molta stima tra di noi, dentro lo spogliatoio: ci aiutiamo tutti, in campo ognuno corre per l'altro e questo fa la differenza. Credo che si veda. Siamo tanti giocatori giovani e di qualità che hanno un grande futuro: ma alla fine in questo campionato conta e serve la mentalità giusta, perché la B è molto diversa da qualsiasi altro campionato, a compresa. Ce ne siamo accorti quando abbiamo giocato con squadre di serie A: è un calcio completamente diverso. Per essere promossi dobbiamo sicuramente migliorare alcuni aspetti: ad esempio tante partite le dominiamo ma non riusciamo a chiuderle e invece dovremmo. Siamo giovani, è normale, dobbiamo ancora migliorare: ma abbiamo voglia di farlo. E quest'anno abbiamo anche un grande sostegno da parte dei tifosi, che si sono stretti a noi: e questo fa piacere. Quando vediamo che il Tardini è pieno, che i tifosi ci credono fino alla fine, è quello che fomenta anche il gruppo: siamo uniti verso lo stesso obiettivo. È importante che loro mantengano la fiducia in noi e noi in loro e speriamo che la seconda metà della stagione vada meglio, o allo stesso modo, di quella fin qui trascorsa».
Mi stai dicendo in pratica che a volte dovreste essere un po' più cinici, più spietati?
Guarda, tutte le partite sono diverse: è capitato quest'anno che alcune partite non abbiamo giocato tanto bene ma abbiamo vinto. Prendi la partita con il Catanzaro: abbiamo vinto 5-0, ma immeritatamente. Loro i primi 20-25 minuti ci hanno messo sotto pressione e noi abbiamo fatto 5 gol tirando sei volte...: ce la teniamo, per carità, va bene così, siamo contenti, ma dopo abbiamo fatto altre partite, come quelle con il Modena e il Palermo, dove abbiamo creato tantissime occasioni non raccogliendo quello che meritavamo. Le partite che non giochiamo tanto bene dobbiamo essere pratici e quelle in cui creiamo tanto dobbiamo essere come dici tu un po' più cinici. E' vero anche che non possiamo fare tre gol o più in tutte le partite, ma stiamo segnando tanto quest'anno: le altre squadre però cominciano a studiarci, si mettono tutti dietro, non è facile fare gol. Ma dobbiamo continuare a insistere su questa strada: per come vedo io il calcio, più vicino giochi alla porta avversaria, più vicino sei al gol».
A proposito di gol: c'è una rete che ti dà più soddisfazione di un'altra segnare? Magari su punizione o in dribbling...
Devo dire che adesso come adesso mi darebbe davvero soddisfazione segnare di destro o di testa, perché non è una cosa che sono molto bravo a fare: sono piccolo e quanto al destro lo sto migliorando ogni giorno, ma insomma non è una cosa che si vede tutti i giorni quindi mi darebbe parecchia soddisfazione segnare di testa o con il destro».
Qual è il tuo sogno Adrián? Il tuo più grande sogno da calciatore, anche al di là del Parma.
«Come tutti i calciatori mi piacerebbe giocare una Champions League. E un mondiale con la mia nazionale. Sono cose che adesso vedo lontane, gioco ancora in B...: ma sono sogni che mi tengo stretti, voglio lottare per quelli. Vedremo se riuscirò a raggiungerli, ma darò tutto me stesso per riuscirci».
È difficile pensare a una tua convocazione per l'Europeo dell'anno prossimo?
«No, è difficile, non penso sia possibile: in Spagna ci sono tanti giocatori che giocano in A o nella Liga e magari non vengono convocati anche se fanno tanto bene... Io sono stato super orgoglioso di essere stato convocato nell'Under 21. Sono bravissimi nel lavoro di scouting: seguono tutti, anche in B, e quando sono andato a giocare mi hanno fatto un'analisi delle mie partite, mi hanno fatto vedere delle clip, con gli errori e le cose positive. Ho apprezzato molto questa attenzione, la Nazionale è il massimo: e poi giocare con quella maglia renderebbe molto orgoglioso mio nonno che è un grande tifoso della Spagna».
Tornando alla tua esperienza in maglia crociata, a Parma ti trovi bene? Ti piace la città, la gente?
«Sì, sì, assolutamente: sono felicissimo qua. Sin da quando sono arrivato mi sono sentito accolto molto bene, per me questa è una seconda casa: e la gente di Parma è incredibile, i tifosi mi vogliono molto bene, abbiamo un rapporto speciale. È una città tranquilla: da parte mia cerco ogni partita di rendere orgogliosi i parmigiani di quello che vedono in campo. Sono davvero molto felice qui a Parma».
Ma quali sono le tue passioni oltre al calcio?
«Mi piace passare il mio tempo libero con gli amici, con la fidanzata, con la famiglia. Qualche volta vado a giocare anche a padel, ma più che altro d'estate: quando sono impegnato con la squadra non mi rimane tanto tempo per il resto. Magari ogni tanto vado cena con i ragazzi del Parma. E giochiamo a bowling, quello ci piace tanto».
Un'ultima cosa: ti faccio una domanda un po' difficile. Dove ti vedi tra 20 anni?
«In realtà questa è una domanda facile per me. Anche perché voglio fare il corso da allenatore, quindi ho già abbastanza chiaro cosa fare una volta che avrò smesso con il calcio giocato. Non so se comincerò subito ad allenare, perché tutti mi dicono che quando si smette di giocare ci vuole un po' di tempo per abituarsi, per liberare la testa: non è un mestiere facile... Ma sono abbastanza sicuro di volere rimanere nel mondo del calcio: è la mia vita, è quello che mi piace. Non mi vedo fare un'altra cosa. Quindi sì, tra vent'anni mi vedo come allenatore».
Farai concorrenza a Pecchia...
«Sì (ride, ndr): se a quell'epoca allenerà ancora magari può prendermi come secondo».
Filiberto Molossi
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