Tutta Parma
Sicuramente ogni paesino, sia della bassa che della pedemontana che dell’appenino serberà, tra gli antichi talismani custoditi dagli oramai pochi sopravvissuti (dopo la terribile decimazione di tanti anziani da parte del Covid), le ricette dei dolci che le nostre nonne facevano nel tempo di Natale. Ci limitiamo ad elencare e ad illustrare quelli che, meglio, sono stati tramandati grazie alle ricerche di alcuni appassionati studiosi delle loro terra. Iniziamo, ovviamente, dalla spongata che, come per gli anolini, ogni paese, ogni frazione, ogni borgata, ogni famiglia detiene la propria ricetta con la giusta presunzione che sia la migliore. Se il panettone è il re della tavola natalizia, la cara - vecchia spongata, almeno dalle nostre parti, ne è la regina. Ed era un dolce talmente importante che vedeva impegnate le «rezdore» già dal mese di novembre. Dolce antichissimo di origine ebraica, la spongata, segue uno strano ma tanto interessante itinerario a seconda dei luoghi dove la producono, la gustavano e la gustano tuttora principalmente nel tempo di Natale.
La strada della spongata inizia in Liguria dove, alcuni secoli fa, appare nei ghetti ebraici, poi ricompare nel piacentino, si insedia alla grande in quasi tutta la Lunigiana, si inerpica lungo la Cisa ed approda a Borgotaro e Berceto, quindi, scalando il passo del Cirone, passando per l’antico borgo di Pracchiola, si insedia a Bosco e a Corniglio per scendere nelle zone collinari canossiane e quindi nella bassa parmense e reggiana fino a Busseto e a Brescello. E a Parma si usava fare la spongata ? Nella nostra città si ha notizia della spongata e degli «aromatori» già nel 1537, inoltre, in «Tradizioni Parmigiane» («Grafiche Step» editrice) di Enrico Dall’Olio, si apprende che, secondo un documento datato 1589, presso il Monastero di San Giovanni, nel tempo di Avvento, si producevano spongate e più esattamente gli «Spongatini dell’Aquila» così chiamati dall’aquila simbolo dell’Evangelista. Il «tempo della spongata», dalle nostre parti, iniziava per la festa di Ognissanti (1° novembre), al più tardi, in coincidenza con la solennità di San Martino ( 11 novembre). Le «rezdore», ma anche i «rezdor», iniziavano a mettere insieme tutti gli ingredienti per fare quel ripieno che poi sarebbe risultato vincente quando i dischi di pasta frolla lo avrebbero avvolto nella loro eterea dolcezza. Le spongate più famose della nostra terra erano e sono sicuramente quelle di Corniglio, Bosco di Corniglio, Berceto, Borgotaro, Busseto che contendono il primato a quella di Pontremoli, creata nell’Ottocento dai maestri pasticceri svizzeri che impreziosirono l’antico dolce con sopraffino cioccolato fondente che si sposa con un miele d’acacia davvero straordinario. Che ingredienti necessitano per fare una buona spongata parmigiana secondo l’antica tradizione ?
Ce lo svela l’indimenticata Laura Terenzani in un suo prezioso ricettario (uno dei pochi che svela i segreti parmigiani della spongata). Ingredienti: noce moscata, mandorle, noci montanare, pane tostato, miele di acacia possibilmente della Lunigiana, uvetta sultanina, mostarda di pere nobili, pinoli, canditi, chiodi di garofano, cannella, rhum, zucchero a velo. Per la pasta: farina bianca, zucchero, burro, vaniglia, vino bianco secco. Per quanto attiene il ripieno, ogni spongata serba dei piccoli-grandi segreti che le «rezdore» si tramandavano di madre in figlia. «I segreti tramandati della spongata sono una sorta di designazione - precisa Angelina Magnotta in suo saggio - attraverso la quale la madre stabilisce quale delle sue figlie debba condividere con lei i segreti della spongata e riceverne la ricetta per trasmetterla a suo tempo ad una sola delle proprie figlie». Stessa liturgia che avviene nella notte della Vigilia Natale (o «delle consegne») quando l’anziana guaritrice («medgón'na») sceglie a chi svelare i propri segreti. Ma ora cerchiamo di percorrere la dolce «strada della spongata». Si parte da Sarzana dove le massaie locali aggiungono al ripieno marmellata di albicocche, per poi approdare a Fivizzano che vanta l'uso dello zafferano, quindi Monchio (dove l’indimenticabile Raffaello Gandolfi, creava nel suo laboratorio gli stampi della spongata in legno con incisi gli antichi simboli scaramantico-esoterici), Palanzano dove la spongata, all’aroma di arancia e cannella, sopravvive grazie ad un'antica ricetta conservata della simpatica Ercolina Cadossi. Svetta poi Pontremoli con la spongata al cioccolato degli «svizzeri». Un paesino sperduto, dopo il passo del Cirone, nel cuore della Val D'Antena, è Pracchiola dove ogni famiglia fa la spongata secondo le antiche ricette. Caratteristici, a Pracchiola, gli stampi che ripropongono la simbologia della beneaugurante margherita lunigianese oppure delle foglie di castagno. Nella nostra provincia esistono ancora numerosi «spongatieri» d’eccellenza: a Corniglio, Bosco, Ghiare, Pellegrino, Fornovo, Bardone, Busseto, Borgo Taro, Bedonia, Tarsogno e, soprattutto, Berceto dove la spongata si arricchisce della deliziosa mostarda fatta con pere nobili. E, proprio sull’origine della spongata bercetese, esiste un simpatica leggenda. Si narra che, con la complicità di un artigiano, fu trafugata dalla cucina del castello dei Rossi di Berceto una spongata che colà veniva gelosamente custodita. Il depositario della ricetta, cosciente del valore del dolce e dei rischi se la notizia del furto si fosse diffusa, la tramandò nel segreto ai suoi discendenti sotto il vincolo della segretezza fino a pervenire ad un certo Venuto che la fece per tanti anni. Nella nostra bassa, invece, regna da secoli la spongata bussetana. Si narra, in proposito, che Giuseppe Verdi compose il «Don Carlos» nell’antica pasticceria «Muggia» proprio mentre nasceva questo dolce di cui anche il grande maestro fu un estimatore. Oltr'Enza le prime «spongate di Berselo» (Brescello) risultano da una lettera datata 1454 a firma Giovanni Botto, Referendario generale in Parma. Un’altra tradizione antica è quella della spongata di Brescello, portata avanti fino ai nostri giorni grazie alla ricetta dal maestro pasticcere Luigi Benelli. E, sempre per quanto concerne gli «spongatieri» reggiani, altre spongate meritevoli di citazione sono quelle «matildica» dei Colli di Canossa, di Montecchio e Bibbiano. Un altro antico dolce natalizio con lontane origini francesi è il «cofre», tipico di Riana di Monchio delle Corti. «Questa tradizione- come riportato in un interessante articolo di Giacomino Rozzi apparso sulla Gazzetta di Parma il 29 dicembre 2002- resiste solo in alcune famiglie a Riana e a Casarola di Monchio».
La forma dell’antico dolce della Val Bratica è somigliante a quella delle famose piadine romagnole. Si cuoce al fuoco del camino o sulla stufa con un apposito strumento che ne disegna artisticamente la forma. «I «cofre» - precisa Rozzi - una volta cotti, si presentano simili a frittelle larghe, sottili e croccanti squisitamente dolci e invitanti. A Riana, questi singolari dolcetti, vengono ancor oggi preparati dalle donne anziane del paese per i loro nipotini durante le vacanze natalizie e, nel rispetto della tradizione, vengono mangiati il primo giorno dell’anno. Volendo risalire all’origine della parola «cofre» se ne può intuire la provenienza francese e la definizione corretta è «gaufre» ( cialda).
E’ provato anche che l’usanza di questo dolce sia stata importata, assieme all’apparato necessario per cuocerlo, dai boscaioli che emigravano in Francia per guadagnare qualche soldo necessario per il sostentamento della famiglia numerosa. Un tempo non tanto lontano, quando in montagna la civiltà contadina era predominante e la ristrettezza alimentare altrettanto diffusa, il giorno della strenna era vissuto dai bimbi come un momento straordinario e impareggiabile. Portando in spalla un sacchetto di canapa grezza, i ragazzi, nella mattina del primo dell’anno, passavano di casa in casa riproponendo l’antico rito del «bondì» che prevedeva un simpatico ritornello: «bondì, bondì, a l’uss a l’uss. S’am n’in di miga jèn guai par tutt». Auguravano, così, buon anno alle famiglie con la speranza di ricevere in cambio qualche dono che andava a gonfiare il loro sacco bianco ma, solitamente, i doni raccolti dai bambini, erano all’insegna della sobrietà come, del resto, lo era la vita di tutti i giorni.
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