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Quando il Po ghiacciava e ci si camminava sopra

Quando il Po ghiacciava e ci si camminava sopra

15 Gennaio 2024, 03:01

Nelle terre del Po le temperature, dopo alcune giornate relativamente miti, sono tornate a scendere sotto lo zero e sono ricomparse le gelate. Nulla a che vedere, tuttavia, con gli inverni di un tempo, quelli in cui anche il fiume ghiacciava. al punto da permettere alla gente di attraversarlo a piedi. L’ultimo di questi inverni fu quello del 1929. Ma ci furono situazioni, in passato, anche più «siberiane» o «polari» (per chi ama questi termini sensazionalistici). Le più grandi gelate del Po avvennero negli anni 1126, 1152, 1211, 1216, 1234, 1443, 1481/82, 1489/90, 1511, 1549, 1550, 1701, 1709, 1811/12, 1829, 1830 e, appunto, 1929. In tempi più recenti sono passati alla storia anche gli inverni del 1951/52, 1956 e, appunto, 1985.

Nel 1216, e qui bisogna attingere a piene mani alla storia, il Po gelò così tanto che i contadini vi passavano sopra con carri e cavalli ed i soldati ci armeggiavano.

Il 1234 fu caratterizzato da un’intensa ondata di freddo in Italia, i cui effetti impressionarono i contemporanei. Il Po si gelò in più tratti tanto che il suo alveo poteva essere attraversato con cavalli e carri carichi di mercanzie, alla pari di quelli di molti suoi affluenti.

Passando al 1481-1482 ci furono quattro trimestri quasi consecutivi degni di nota, e tra il 1489 ed il 1490 la laguna veneta rimase a lungo gelata, così come il Po e l’Arno, e nevicò a Venezia per 12 giorni consecutivi. Nel «Memorie storiche della città di Cremona» di Lorenzo Manini, che attinse al Campi, si legge che nel 1549 «il Po si agghiacciò, siccome avvenne nel 1126 e nel 1234… che ognuno vi camminava sopra ben anco con carri e cavalli. Dal mese di dicembre iniziò un freddo fierissimo, per il quale il Po s’aggiacciò di maniera che passavano gli uomini, le bestie cariche ed anco i carri; ed alli 15 di detto mese io li viddi sopra il giaccio più di 200 persone, assicurandosi anche le gentildonne di farle correre sopra i cocchi».

Quello poi del 1709 è poi tuttora considerato come l’inverno più rigido della storia d’Europa. Tra gennaio e aprile 1709 il Vecchio Continente fu investito da un’anomala ondata di freddo che paralizzò l’intera regione, causando un elevato numero di vittime tra la popolazione. In Emilia Romagna perirono, per la morsa del gelo, tutte le piante da frutto, in particolare meli, ciliegi, noci che solitamente resistono anche a temperature molto rigide.

Gelarono molti fiumi, tra cui il Po, che fu ricoperto da uno strato di ghiaccio di circa 70 centimetri, sul quale passavano uomini, carri e cavalli. Nelle campagne le coltivazioni di ulivo, vite e agrumi furono seriamente compromesse o distrutte. In molti casi i terreni coltivati prima del 1709 non poterono più essere recuperati.

Anche nell’Adriatico, come in molti altri porti d’Europa, le gelate bloccarono le imbarcazioni, i cui equipaggi morirono di freddo e di fame. Con leggere oscillazioni, le temperature si mantennero basse fino a primavera. Ma il freddo non fu l’unica piaga da affrontare: al gelo seguirono fame, inondazioni ed epidemie. La neve che si era accumulata nei mesi invernali provocò intense inondazioni al suo scioglimento e le epidemie non si fecero attendere. Aumentarono e si diffusero malattie bronco-polmonari. Il freddo e la fame favorirono il diffondersi dell’influenza, che era scoppiata a Roma l’anno precedente, fino a renderla una pandemia che si sarebbe estesa per quasi tutta l’Europa tra il 1709 e il 1710. Inoltre, dall’Impero ottomano giunse,a peggiorare le cose, la peste.Passando a tempi molto più recenti, è passato alla storia, come già rimarcato, il grande inverno del 1929 che vide gelare il Po ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, che consentiva alle persone di camminarvi sopra. Ci sono ancora ricordi lasciati dagli anziani che affermavano che occorreva un palanchino per aprire le porte delle stalle e quando si usava l’acqua calda, questa si ghiacciava praticamente all’istante al contatto con l’esterno, così come gelavano gli occhi alle perone. Del resto il 1929 fu anche l’anno della definitiva disfatta dei mulini natanti che macinavano il grano, perché i lastroni di ghiaccio (il «giasson» come lo chiamavano nelle terre di fiume) che arrivavano dal fiume li distrussero in modo totale. All’epoca, va aggiunto, non c’era un monitoraggio di stazioni meteo come è possibile avere ora. Alcuni documenti indicano che durante il lungo periodo gelido del 1929, così come nel 1956 e 1985, in alcune località della bassa Valle Padana, la temperatura scese anche a meno 30 gradi. Chi scrive queste righe ha ben presente l’inverno del 1985. A Zibello, per esempio, quell’anno c’era anche chi si era mosso sulla storica «Lanca ad Barnon» in Vespa, dal tanto che il ghiaccio era spesso. Quelli, sì, erano inverni siberiani, o polari, sempre per usare termini che, in modo inappropriato, sono stati utilizzati per descrivere gli inverni, in realtà piuttosto miti, degli ultimi anni. Inverni che, insieme a tanti altri elementi, hanno dimostrato i chiari cambiamenti climatici in corso.

Paolo Panni

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