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EDITORIALE

L'attrito fra due secoli

L'attrito fra due secoli

di Pietro Ichino

28 Gennaio 2024, 13:00

24 febbraio 2022: la Russia invade l’Ucraina. 4-7 agosto 2022: la Cina compie aggressive esercitazioni aero-navali intorno a Taiwan per ribadire la propria pretesa di sovranità sull’isola. 7 ottobre 2023: Hamas sferra un attacco di violenza ed estensione inaudite contro Israele (provocandone una reazione catastrofica). 19 novembre 2023: i ribelli yemeniti Houthi, appoggiati dall’Iran, incominciano ad attaccare nel Mar Rosso le navi mercantili dirette verso il Canale di Suez. Gennaio 2024: i servizi tedeschi rivelano piani russi per l’attacco a un Paese baltico nel 2025. La sequenza è impressionante: che cosa sta accadendo? C’è una logica che accomuna questi eventi tra loro?
Una lettura possibile è quella che segue. L’Occidente economicamente sviluppato e governato da istituzioni ispirate ai principi liberal-democratici si confronta, nel Vecchio Continente euroasiatico, con un’altra parte dell’umanità economicamente più povera, più arretrata sul piano dei diritti civili e ancora governata da regimi fortemente illiberali. 

Ma è un confronto asimmetrico: perché la forza dell’Occidente consiste nella sua capacità di “penetrare” nell’altra metà del mondo con i propri modelli e i propri prodotti culturali, con il miraggio del proprio benessere; consiste cioè in una attrattività che è intrinsecamente pericolosa per la stabilità di regimi autoritari come quello russo, quello cinese, o quello iraniano. È l’attrattività dell’Occidente che ha finito col prevalere in Ucraina; la stessa che la Cina fatica a domare a Hong Kong e che l’Iran fatica a domare in tutte le proprie aree metropolitane. Un’attrattività che non ha alcun contrappeso operante in senso inverso.
Come i terremoti più o meno disastrosi che si producono lungo le linee di faglia tra le grandi “zolle” della crosta terrestre, così l’invasione russa dell’Ucraina, le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan, la deflagrazione violentissima in Medio Oriente, le tensioni al confine tra Russia e Paesi baltici possono essere viste come manifestazioni dell’attrito fra un Occidente ricco e molto avanzato sul terreno dei diritti civili e un’altra parte del mondo che è rimasta indietro di almeno un secolo, quando non di due; e che cerca di difendersi dall’invasione pacifica dei modelli e dei valori occidentali con la sola arma di cui dispone: la guerra. Anche perché la guerra è l’antidoto più efficace contro la globalizzazione, chiudendo le frontiere e attivando i velenosi anticorpi nazionalistici contro tutto quanto proviene dal Paese nemico.

Non siamo ancora, forse, alla “guerra mondiale a pezzi” di cui parla con preoccupazione Papa Bergoglio. Ma il moltiplicarsi e l’intensificarsi degli episodi di scontro lungo tutta la frastagliata linea di confine tra le due aree del mondo pone a Usa e Ue il problema di un difficile e mai definitivo equilibrio: quello tra la necessità di arginare con fermezza ogni pulsione aggressiva dei regimi autocratici e la necessità di evitare che gli episodi di scontro “entrino in risonanza” tra loro facendo deflagrare un conflitto globale. Per questo è indispensabile, nell’immediato, che Usa e Ue facciano tutto quanto è in loro potere per la cessazione della guerra a Gaza. Ma ciò su cui americani ed europei possono più efficacemente far leva, nel medio periodo, è la contraddizione di cui soffre la Cina tra le proprie mire di riconquista di Taiwan e la propria necessità vitale di mantenere aperti e semmai potenziare tutti i canali di scambio commerciale con l’Occidente. Dosare sapientemente l’apertura di questi canali, dalla quale dipende in gran parte l’equilibrio interno del gigante cinese (molto più delicato di quanto appaia), può essere l’arma strategica che consentirà agli americani e agli europei di arrestare la deriva verso una terza guerra mondiale.

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