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Infrastrutture

Caso mall: si va verso una richiesta di risarcimento di 100 milioni

Caso mall: si va verso una richiesta di risarcimento di 100 milioni

di Claudio Rinaldi

04 Febbraio 2024, 03:01

Un “caso”, un tormentone, una vicenda infinita e paradossale, quella del Parma Urban District (o, più semplicemente, del mall): non solo una ferita aperta, con quello scheletro, sotto gli occhi di chiunque transiti in zona Fiera o percorra l’Autosole, che da anni grida vendetta al cielo.

Ferita ben lontana dall’essere rimarginata, peraltro. Il sindaco Michele Guerra, nell’intervista rilasciata alla «Gazzetta» poco prima di Natale, aveva lasciato intendere che il Comune sia al lavoro per trovare una soluzione e «riprendere seriamente in mano un’area abbandonata da anni». Un eccesso di ottimismo, a giudicare da quello che afferma Paolo Pizzarotti, presidente dell’omonima impresa costruttrice, che si dice «molto deluso» e addirittura «allibito» per l’atteggiamento dell’Amministrazione comunale. E che non nasconde che, ad oggi, la soluzione più probabile sembra essere un’azione per una richiesta di risarcimento al Comune per una somma superiore ai cento milioni. «Frutto di ciò che abbiamo speso in 21 anni – spiega Pizzarotti – e cioè ottanta milioni, tutti facilmente documentabili, e quasi tutti spesi a vantaggio del Comune, e di una lunga serie di danni che abbiamo subìto, certamente non per nostra responsabilità». Cento milioni di risarcimento – per dare l’idea – rischierebbero di fare “saltare” le casse del Comune.

«È evidente che se il progetto originario, partito con tutti i permessi e le autorizzazioni possibili e immaginabili, non è più realizzabile nei termini previsti all’inizio per ragioni che non dipendono dal Gruppo Pizzarotti, l’investimento deve essere compensato. O, in extrema ratio, risarcito».

UNA STORIA LUNGA 21 ANNI

Risale al 2003 l’acquisto dello stabilimento dismesso della Salvarani da parte del gruppo Pizzarotti. Nel 2006 la sigla di un «accordo pubblico privato» che, a fronte di un ingente investimento in opere pubbliche, consente alla Pizzarotti di realizzare sul terreno della ex Salvarani un’«area integrata di livello superiore» (cioè un centro commerciale delle dimensioni più ampie consentite dalle norme) con una superficie di vendita di 49.400 metri quadrati, oltre ad altre funzioni complementari per complessivi 116.000 metri quadrati di edifici.

Poco dopo, cominciano gli inciampi. «E noi iniziamo a spendere soldi – dice Pizzarotti –. A cominciare dai 15 milioni che sono stati necessari per demolire e bonificare lo stabilimento della Salvarani».

«Si tenga presente – continua l’imprenditore – che in quei capannoni ci facevano i rave party, che abbiamo dovuto smaltire grandi quantità di amianto: quindi, che abbiamo pulito un pezzo importante della nostra città».

LE OPERE PUBBLICHE

Tra il 2006 e il 2011 la Pizzarotti realizza la ristrutturazione del Palazzo del Governatore, costruisce l’auditorium all’ex Eridania e la viabilità complanare che collega il casello dell’A1 alla Fiera. «Tutto a nostre spese – per un costo, all’epoca, di 20 milioni di euro –, come previsto dall’accordo. Perché il leit-motiv di questa lunga storia – dice Pizzarotti – è che noi abbiamo sempre mantenuto le promesse e tenuto fede agli accordi presi, a differenza del Comune».

Risale al 2011 la sigla della «convenzione urbanistica» che definisce quantità e caratteristiche dell’insediamento commerciale e delle relative opere di urbanizzazione, prevedendo l’edificabilità di 116.000 metri quadrati. «Sempre rispettando i patti, la nostra impresa ha ceduto al Comune aree di standard pubblico e viabilità per un controvalore di circa 2,6 milioni: si tratta di aree destinate a strade e verde pubblico, tutte diventate di proprietà del Comune; ha eseguito ulteriori bonifiche dei suoli alla ex Salvarani per circa 3,5 milioni; ha pagato 6,7 milioni come oneri di concessione per il rilascio dei “permessi di costruire”; e ha cominciato a realizzare opere – proprio in virtù dei “permessi di costruire” – per un controvalore di 14,5 milioni: opere interrotte, come lo scheletro che è l’emblema di questa vicenda allucinante, e, oggi, inutilizzabili. E, ancora, ha sostenuto tutti i costi di sviluppo, promozione e progettazione, per circa 6 milioni, e ha fatto fronte a tutti gli interessi finanziari, ormai superiori a 10 milioni e che ancora continuano a accumularsi, per un investimento così dilatato nel tempo e finora senza alcun esito. In tutto, fanno 80 milioni, non un euro di meno».

IL PROGETTO DEL MALL

Intanto, contratto dopo contratto, il Parma Urban District cresceva, almeno sulla carta. La Pizzarotti e la portoghese Sonae Sierra, socie al 50 per cento, stimavano un centro commerciale che avrebbe favorito l’assunzione di 1.500/1.800 dipendenti. «Avevamo già stretto accordi con i principali marchi mondiali della moda – spiega Paolo Pizzarotti –. Quando il cantiere è stato interrotto, avevamo più della metà degli spazi commerciali già prenotati. E, di fronte alle perplessità dei soci, sempre più intenzionati a mollare, una volta che si sono resi conto di come vanno le cose in Italia, continuavamo a insistere di avere pazienza. Ci abbiamo messo la faccia, abbiamo garantito che il Comune ci avrebbe supportato. Com’è andata a finire lo sanno tutti: esasperati, i portoghesi hanno preferito abbandonare: e ovviamente abbiamo dovuto spendere altri soldi per liquidarli».

IL SEQUESTRO

Il 18 ottobre 2018 è il giorno cruciale al centro del “caso mall”. I militari della Guardia di finanza atterrano in elicottero ed eseguono l’ordine di sequestro disposto dalla Procura di Parma, in seguito a una denuncia di Legambiente, Wwf e Ada sui permessi di costruire rilasciati dal Comune. «Nessuno di noi è mai stato sentito né prima, né durante i quattro anni dell’inchiesta, né dopo», precisa Pizzarotti. Nessuno dell’impresa, peraltro, è stato coinvolto nell’inchiesta. «È stato un fulmine a ciel sereno, inaspettato e per molti versi incomprensibile».

Quasi 4 anni dopo, il 9 giugno 2022, l’area viene dissequestrata, su disposizione del tribunale, in seguito all’istanza presentata dalla Parma Urban District.

L’INCHIESTA

Ad essere contestata era stata la legittimità dei permessi di costruire, in ragione di un nuovo regolamento relativo alle fasce di rispetto aeroportuali, emesso dall’Enac quando la Convenzione Urbanistica era già stata sottoscritta e gran parte delle opere pubbliche già realizzate, ma che gli inquirenti avevano ritenuto applicabile con effetto retroattivo. Nell’ottobre 2021, la pm Paola Dal Monte, che aveva avviato e diretto l’inchiesta, chiede durante l'udienza preliminare tre condanne per abuso d'ufficio: per Dante Bertolini, ex direttore del Settore pianificazione territoriale del Comune (con rito abbreviato), per l'allora assessore all'Urbanistica Michele Alinovi e per il dirigente Tiziano Di Bernardo, che come l'assessore aveva optato per il rito ordinario. Qualche settimana più tardi il gup Adriano Zullo assolve invece Bartolini (per non aver commesso il fatto), per il quale la Dal Monte aveva chiesto una condanna a 8 mesi, dichiara il «non luogo a procedere», sempre per non aver commesso il fatto, anche per Alinovi, mentre dispone il rinvio a giudizio per Di Bernardo.

«Cosa hanno significato per noi l’inchiesta e il lungo sequestro? Semplice: un gravissimo danno. Il Gruppo Pizzarotti è stato vittima della vicenda, pur essendo totalmente estraneo alle indagini».

LE PRESCRIZIONI DELL’ENAC

Nel giugno del 2021, intanto, il Consiglio comunale approva l’aggiornamento del Piano di rischio aeroportuale, adottando nuovi vincoli imposti dall’Enac: in particolare, l’aumento della fascia di rispetto (ai lati della pista) da 500 a 1.000 metri complica la questione, perché l’area del mall rientra all’interno della “nuova” fascia di rispetto. E qui entra “in campo” anche il «carico antropico»: in poche parole, il centro commerciale potrebbe essere realizzato dove è stato previsto in origine solo nel caso non si superino le 2.000 presenze. «Prescrizione che si commenta da sola – osserva Pizzarotti – dovremmo contare i clienti presenti e sbarrare gli accessi dopo l’ingresso della duemillesima persona. Un palese controsenso rispetto alla natura di un centro commerciale, che suona ancora più grave se si pensa che un analogo insediamento commerciale, recentemente realizzato dall’altro lato della pista in una fascia di rispetto con maggior grado di rischio, non ha ricevuto alcuna limitazione. Una beffa: come chiamarla, altrimenti?».

L’«ACCORDO DI PROGRAMMA»

Nel momento stesso in cui si rende evidente che sarebbe impossibile proseguire nel progetto del mall in zona Fiera, la Pizzarotti si mette al lavoro per una soluzione urbanistica alternativa che possa consentire di recuperare l’investimento. «I consulenti ci hanno subito prospettato l’idea di fare partire un’azione risarcitoria – dice il presidente Pizzarotti – ma avevamo l’aspettativa che il Comune, consapevole delle proprie, esclusive responsabilità nella vicenda, si impegnasse per trovare una soluzione bonaria, preservando così sia gli interessi pubblici che quelli privati». «È stato proprio il Comune a indicare la strada dell’“accordo di programma” – prosegue –, che è uno strumento di pianificazione straordinario promosso dall’amministrazione pubblica, anche su richiesta dei privati, per gestire situazioni urbanistiche la cui risoluzione rappresenta un rilevante interesse pubblico. È stato l’allora direttore generale, Marco Giorgi, a proporre questa soluzione, che è sì straordinaria, ma ampiamente utilizzata: per fare due esempi, il “CityLife” di Milano e “il Centro” di Arese, entrambi sedi di grandi centri commerciali, sono progetti di rigenerazione urbana realizzati in virtù di “accordi di programma”».

Occorre, per definizione, un «rilevante interesse pubblico» perché l’«accordo di programma possa prendere corpo. «Ma qui il tema non si pone proprio – dice Paolo Pizzarotti –: mi sembra evidente, stante la necessità di risolvere un’ impasse che lo stesso Comune ha generato e, tra l’altro, di recuperare e riqualificare un’area visibile dai numerosi utenti dell’autostrada e su cui è oggi presente un ecomostro creato dalle vicende prima descritte».

IL NUOVO PROGETTO

«Abbiamo lavorato sodo per mesi e mesi, interloquendo ripetutamente con gli uffici comunali e poi con i rappresentanti politici dell’Amministrazione, per mettere a punto un’istanza di “accordo di programma”. L’istanza viene presentata nel settembre 2023: partendo dal presupposto che l’area ex Salvarani non risulta più idonea alla realizzazione del progetto, si propone di ridistribuire la funzione commerciale frammentandola in tre aree: la ex Salvarani, la ex Bormioli Rocco e la “Porta della città” (l’area che va dal centro sportivo di Moletolo alla Baistrocchi). «Si tratta di tre aree cruciali del comune di Parma e sarebbe il programma di rigenerazione urbana più esteso e ambizioso che il Comune di Parma abbia mai affrontato – sostiene Paolo Pizzarotti –. Il tutto, si badi bene, senza aggiungere un solo metro quadrato di superficie edificabile rispetto a quanto previsto dalle precedenti pianificazioni urbanistiche, né un solo metro quadrato alle licenze commerciali già rilasciate».

IL «NO» DEL SINDACO

Il 15 dicembre il sindaco Guerra firma una lettera con la quale nega la disponibilità del Comune all’«accordo di programma» e contesta lo strumento stesso, non ravvisando il necessario interesse pubblico. Suggerisce invece che il Gruppo Pizzarotti formuli osservazioni del Piano urbanistico generale in corso di approvazione. «Siamo rimasti letteralmente sbalorditi – afferma Pizzarotti – al punto da non credere ai nostri occhi: in un colpo solo il Comune contesta uno strumento urbanistico suggerito dal Comune stesso, disconosce mesi e mesi di interlocuzioni, con i tecnici e con gli amministratori. Non solo: il sindaco ci suggerisce di formulare osservazioni al Pug – seguendo quindi un iter ordinario, con tempi presumibilmente molto lunghi e senza alcuna certezza, ignorando quindi tutto quello che abbiamo dovuto subire in questa terribile storia lunga 21 anni – e, quel che è davvero paradossale, dimenticando che i termini per la presentazione delle osservazioni erano già scaduti nel momento in cui ha scritto la lettera».

GLI SCENARI FUTURI

Paolo Pizzarotti è deluso, oltre che arrabbiato: «Ci saremmo aspettati tutt’altro atteggiamento: sicuramente più collaborazione. Avrei capito se il sindaco ci avesse chiamato, per discutere della nostra istanza, per analizzare insieme il progetto, per chiedere eventuali cambiamenti. Ma, certo, non avremmo mai pensato a dover subire anche questo atteggiamento. Mi sembra un torto che il nostro Gruppo non merita: a maggior ragione essendo un’azienda parmigiana che ha 114 anni di storia e che è tutt’ora posseduta al cento per cento dalla famiglia che l’ha fondata. Una decisione miope, incomprensibile. Mi chiedo: è solo perché in campagna elettorale, tra le mille promesse che ha fatto agli elettori, il sindaco ha detto anche che nel quartiere San Leonardo non sarebbe sorto un altro centro commerciale? Non lo so. Io so solo che questo sembra un punto di non ritorno: sembrerebbe addirittura che il Comune voglia spingere l’Impresa Pizzarotti ad avviare un’azione risarcitoria. Eventualità che ritengo debba essere assolutamente evitata, in primis nell’interesse dell’Ente. In caso, contrario, con tutta la buona volontà che abbiamo sino a oggi dimostrato, cos’altro potremmo fare?».

Claudio Rinaldi

© Riproduzione riservata

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