INTERVENTO
S'infiamma il dibattito sul fine vita, dopo la scelta della Regione di prevedere una delibera che regolamenta il ricorso al suicidio assistito.
Ieri i vescovi dell'Emilia Romagna hanno diramato una nota in cui si esprime sconcerto sulla scelta della Regione di «legittimare con un decreto amministrativo il suicidio medicalmente assistito». A stretto giro di posta la replica di Stefano Bonaccini, presidente della Regione: «Applicata la sentenza della Corte costituzionale».
Sulla questione è intervenuto anche il vescovo Enrico Solmi. «A fronte della situazione della malattia, del dolore e della sofferenza - ha dichiarato - la risposta è la vicinanza, la prossimità, attraverso quell'insieme di atteggiamenti e scelte che si configurano come cure».
Curare è un'azione con molteplici sfaccettature. «Prendersi cura in forma relazionale, di assistenza, e sotto il profilo medico, anche attraverso le varie forme della paliazione - ha proseguito monsignor Solmi -. Allora la persona sofferente e ammalata non si sente abbandonata o inutile e cercherà nelle persone prossime quella vicinanza che le consente di vivere questo momento così difficile». Secondo il vescovo «non è certo il suicidio medicalmente assistito o l'eutanasia diretta, a risolvere questo problema che tocca intimamente la realtà della persona umana, la sua dignità e il valore della vita».
Come si legge nella nota dei vescovi, «anche quando non c’è più la possibilità di guarigione» bisogna continuare e incrementare «l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche».
«Alla base di questa esigenza - prosegue il comunicato - ci sono il valore della vita e la dignità della persona».«Il valore della vita si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità. Proprio lì la società è chiamata ad esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e attuando quanto già è normato circa le cure palliative».
«Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito - si legge ancora - contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la professione medica. La proposta della Regione sconcerta quanti riconoscono l’assoluto valore della persona e della comunità civile volta a promuoverla e tutelarla».
I vescovi hanno espresso «preoccupazione» e il «netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e di quanti sono loro legati da sincero affetto. La soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione».
Bonaccini, ribadendo la disponibilità al confronto, ha replicato: «Le sentenze della Corte Costituzionale si applicano, come prescrive la Costituzione italiana. Possono certamente essere discusse e non condivise, ma non disattese, in ossequio al principio di legalità». Nell'attesa di una legge nazionale, la Regione «ha disposto con propri atti amministrativi -ha proseguito - le concrete modalità di accesso all'istituto del suicidio medicalmente assistito, mettendo le strutture del servizio sanitario pubblico - indicate dalla Consulta stessa - nelle condizioni di garantire questo diritto al malato, attenendosi scrupolosamente ai dettami precisi fissati dalla sentenza dell’Alta Corte».
Luca Molinari
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