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Editoriale

Diciamo grazie a quei nostri marinai nel mar Rosso

Diciamo grazie a quei nostri marinai nel mar Rosso

di Pino Agnetti

06 Marzo 2024, 13:00

«Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni». Questo è il giuramento solenne prestato da tutti i militari di questa Nazione. E il minimo che si possa dire delle donne e degli uomini del cacciatorpediniere «Caio Duilio» e del loro comandante Andrea Quondamatteo è di averlo messo in pratica in maniera esemplare respingendo e neutralizzando il primo attacco contro una nave della nostra Marina Militare dalla fine della Seconda guerra mondiale. Qualcuno dirà che sono pagati e addestrati per fare proprio quello. È certamente così. Non di meno, c’è voluta una fatica di Sisifo perché il Parlamento approvasse finalmente la nostra partecipazione alla missione Ue «Aspides» nel Mar Rosso. Sì, perché secondo alcuni sarebbe meglio farsi bombardare e affondare piuttosto che difendersi e difendere insieme al proprio Paese - ogni imbarcazione battente la nostra bandiera, non importa se militare o civile, è territorio italiano - anche la libertà di navigazione che è uno dei cardini del diritto internazionale.

Alla fine, il via libera è comunque arrivato ed è un fatto assolutamente positivo che si sia trattato di un atto bipartisan (anche se non unanime). Dietro, non è difficile scorgere la “regia” del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una regia come al solito discreta, ma quanto mai efficace ogni volta che sono in gioco gli interessi vitali dell’Italia e dell’Europa. Perché «vitali»? Breve riassunto per i distratti. In meno di tre mesi, gli Houthi hanno attaccato 50 navi (quasi una ogni tre giorni) chiudendo di fatto la rotta da cui passa il 12% del commercio mondiale e il 40% dell’import-export italiano, in particolare agroalimentare, energetico e della componentistica industriale. Solo a noi, il blocco è costato finora qualcosa come 10 miliardi di euro (95 milioni al giorno). Con il traffico marittimo costretto a disertare Suez e a circumnavigare l’Africa, i costi della navigazione sono schizzati alle stelle (+659%!), con conseguente ulteriore ricaduta negativa sui prezzi che troviamo sugli scaffali quando andiamo a fare la spesa. Per la stessa ragione, i porti del Mediterraneo si sono svuotati a tutto vantaggio della concorrenza del Nord Europa. Già che c’erano, quei bravi ragazzi degli Houthi hanno cominciato a tagliare i cavi sottomarini da cui passa il traffico Internet fra l’Europa e l’Asia (finora il 25% delle comunicazioni è stato deviato o interrotto). Ed essendo armati non di fucili a tappo, ma di droni e di missili ultramoderni, hanno anche affondato una nave che trasportava 41mila tonnellate di fertilizzanti, causando un disastro ambientale in quello specchio di mare senza precedenti. A proposito, dove sono finiti gli attivisti di «Ultima generazione»? Mistero.
Ma non divaghiamo e restiamo al punto. Il punto è che uno di quegli ordigni micidiali che ormai gli Houthi sono in grado di fabbricarsi da soli, grazie ai soldi e all’assistenza del loro grande sponsor e finanziatore Iran, era diretto stavolta non contro un bersaglio a casaccio. Ma contro una unità della nostra Marina per di più in procinto di assumere il comando della mini flotta Ue - oltre al «Caio Duilio», una fregata francese, una tedesca e una belga - inviata nel Mar Rosso a fare da scudo ai mercantili. Non si è trattato dunque di un attacco casuale, così come è da escludere che i comandi iraniani non ne fossero informati. Pochi giorni prima la fregata tedesca «Hessen» già schierata nelle stesse acque aveva abbattuto altri due droni provenienti dallo Yemen. La stessa cosa aveva fatto a dicembre la francese «Languedoc». Che poi le unità europee della missione «Aspides» siano lì in funzione esclusivamente «difensiva» (delle navi scortate oltre che di se stesse e dei propri equipaggi) e non per colpire obiettivi anche a terra, non cambia evidentemente nulla per chi vorrebbe trasformare il Mar Rosso in un nuovo «Mare Nostrum». Addirittura, gli Houthi hanno fatto sapere che per riparare i cavi sottomarini per le telecomunicazioni danneggiati sarebbe necessaria la loro autorizzazione preventiva!
Un altro piratesco diktat, a cui l’altra notte si è aggiunto l’ennesimo attacco a colpi di missili antinave contro la portacontainer Msc Sky II battente bandiera liberiana e di proprietà svizzera diretta nel porto di Gibuti. «Non mi risulta che né la Svizzera, né la Liberia e neppure Gibuti abbiano a che fare in alcun modo con il conflitto a Gaza», ha chiosato il ministro della Difesa Guido Crosetto. D’altra parte, che il blocco del Mar Rosso non sia finalizzato a costringere Israele a cessare i bombardamenti quanto a stringere ancora di più il cappio attorno al collo dell’Occidente, è ampiamente dimostrato dal fatto che le uniche navi che possono circolarvi senza problemi siano quelle russe e cinesi. Una cosa chiarissima a tutti. Tranne ai pacifisti a senso unico che manifestano solo contro Israele e mai contro Putin o i sanguinari ayatollah di Teheran (che poi guarda caso sono anche i maggiori padrini di Hamas).
Chi ha ascoltato il comandante Quondamatteo raccontare, con la chiarezza e la compostezza che vorremmo sempre vedere e ascoltare in un militare, le fasi dell’azione difensiva che ha sventato l’attacco al nostro cacciatorpediniere non potrà che esserne rimasto ammirato. Al tempo stesso, sarà bene ricordare che per lui e per gli altri 195 membri del suo equipaggio, i rischi non sono per nulla finiti ma solo iniziati. Ecco perché è il momento di far sapere loro che, insieme al governo e al Parlamento della Repubblica, c’è un intero Paese al loro fianco. Come pure al fianco degli oltre 7mila militari impegnati in più di 30 missioni all’estero. Potrà sembrare scontato. Ma non lo è affatto, men che meno quando nelle nostre strade c’è chi viene aggredito e insultato solo perché veste l’uniforme. Per nostra fortuna, però, c’è ancora chi non ci fa pentire di essere e di sentirci italiani.

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