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Processo

I periti della famiglia: «Sofia annegata dall'impianto fuori norma»

I periti della famiglia: «Sofia annegata dall'impianto fuori norma»

di Roberto Longoni

26 Marzo 2024, 03:01

È come se non si fosse mai più spenta dal 13 luglio 2019, quella maledetta bocchetta d'aspirazione. Risucchiati e avvinti i capelli di Sofia Bernkopf, annegata una bimba di 12 anni negli 80 centimetri d'acqua di un idromassaggio, la forza di quella bocchetta ancora intrappola una famiglia intera. Il papà Edoardo, la mamma Vanna e il gemello Tommaso, lui più fragile di tutti, catapultato dalla gioia spensierata di una spiaggia al deserto di una spaesata sofferenza. Nata il suo stesso giorno, al di là dell'anagrafe Sofia era anche sorella maggiore per Tommaso: se possibile, ancora più profonde che nei genitori sono le ferite lasciate dalla tragedia nel gemello rimasto solo e oggi diciassettenne.

A parlarne in tribunale ieri a Lucca è stato il professor Giuseppe Sartori. Nell'udienza dedicata al completamento dell'esame dei testimoni del pm e delle parti civili, l'ordinario di Psicologia forense all'Università di Padova e direttore del master di Neuropsicopatologia forense e Criminologia clinica ha illustrato le conseguenze della tragedia sulla famiglia: su Tommaso e sul papà Edoardo e sulla mamma Vanna. Ancora una volta, i genitori si sono presentati in aula, mentre erano come sempre assenti Elisabetta e Simonetta Cafissi, titolari dello stabilimento, i rispettivi mariti e datori di lavoro, Giampiero Livi e Mario Marchi, i bagnini Thomas Bianchi ed Emanuele Fulceri oltre a Enrico Lenzi, fornitore e installatore della piscina idromassaggio, tutti a vario titolo imputati di omicidio colposo. Con termini scientifici, Sartori ha descritto ciò che chiunque ha chiaro in sé: «Il danno psicologico non è ancora stato superato». Ancora? Perché, potrà mai esserlo?

Prima del docente, a deporre davanti al giudice Gianluca Massaro, al pm Salvatore Giannino, all'avvocato dei Bernkopf Stefano Grolla e ai numerosi legali della difesa, è stato Davide Lari, bagnino ai bagni Texas di Marina di Pietrasanta dal 2011 (dal 2013 non più in piscina, ma nella postazione in riva al mare) al 2017. A suo dire, la proprietà non prestava la dovuta attenzione alla sicurezza della piscina: non si impegnava a far indossare la cuffia obbligatoria per legge e non si curava delle lamentele dei bagnini che chiedevano di recintare l'area delle piscine, per facilitare i controlli. Cadute nel nulla le sue richieste, Lari rifiutò di assumere il ruolo di responsabile della piscina e degli impianti tecnologici: il suo rapporto di lavoro si sarebbe quindi concluso con una transazione.

Marco Di Paolo, professore di Medicina legale dell'Università di Pisa, consulente della parte civile che assistette all'autopsia, ha ribadito quanto già dichiarato dal dottor Stefano Pierotti, perito del pm: Sofia morì per annegamento, dopo che si rivelò vana ogni manovra e ogni terapia rianimatoria. Il docente ha confermato anche il ruolo dell'intrappolamento dei capelli della bimba evidente anche durante l'autopsia: per liberare la piccola, fu necessario strapparle ciocche con lembi di cuoio capelluto.

Esperto in sicurezza del lavoro (e soprattutto di impianti), l'ingegnere meccanico Michele Massaro si è soffermato sulle «criticità riscontrate nell'idromassaggio». Anzitutto sulla piastra d'acciaio che copriva l'uscita del tubo dell'aspirazione: fissata da tre viti, era piatta su una parete tonda, e dalle fessure lasciava passare acqua aspirata. «Niente di simile a una regolare bocchetta di aspirazione» ha sottolineato il perito, ribadendo a sua volta come la potenza dell'impianto superasse di gran lunga i limiti di legge. Inevitabile, per l'ingegnere, che avvicinandosi alla bocchetta capelli lunghi come quelli di Sofia fossero risucchiati e intrappolati, attorcigliati ai meccanismi interni in un nodo letale.

Per dare ancora una volta un'idea della potenza dell'impianto, Massaro ha ricordato come nei filtri, collocati a notevole distanza dall'idromassaggio, siano stati trovati anche una cuffia e tasselli del mosaico di rivestimento della vasca. Infine, un altro elemento che avrebbe dovuto permettere di guadagnare secondi preziosi in un'emergenza: il telecomando di spegnimento delle pompe. Venne trovato solo in un secondo tempo da chi effettuò i sopralluoghi. Ma sarebbe stato inutile, perché fuori uso. E comunque inutile sarebbe stato anche se funzionante, vista la scarsa portata del segnale. «L'impianto non aveva certificato di conformità - ha concluso il consulente dei Bernkopf - e non era assolutamente a norma». La prossima udienza, il 15 aprile, sarà dedicata all'esame degli imputati. Ma dalle dichiarazioni dei difensori ci si aspetta che a presentarsi sia solo il bagnino Thomas Bianchi.

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