Intervista
Un viaggio nella ruggente metropoli dell’Illinois degli anni ‘20: Caos Organizzazione Spettacoli porta a Parma uno dei musical più longevi di Broadway: «Chicago» debutterà sul palcoscenico del Teatro Regio martedì 9 aprile.
In regia una garanzia: Chiara Noschese che vestirà anche i panni di una delle protagoniste, Mama Morton. Con lei sul palco non ci sarà però Stefania Rocca: un infortunio l’ha costretta al forfait. Al suo posto Vittoria Sardo.
Per continuare una carriera fatta di grandi palchi e importanti ruoli cinematografici, Chiara Noschese racconta la sua felicità nell’esibirsi nella nostra città: «Per me sarà la primissima esibizione a Parma e in particolare al Teatro Regio. L’emozione è già grande ora. C’è anche una forte componente di responsabilità nell’andare su un palco leggendario».
Come è nata l’idea di lavorare su questo show?
«Chicago inizialmente mi faceva molta paura: non è uno spettacolo pacifista. Si parla di assassini, traditori, manipolatori. Era importante riuscire a dargli una maggiore empatia. Ho quindi mantenuto testo e canzoni ma, intorno a questa base, ho dovuto lavorare molto».
Perché venire a vedervi a teatro?
«Assistere al nostro show significa vedere il “circo degli orrori” in cui chi commette qualcosa di eclatante, diventa più facilmente virale e ottiene qualche vantaggio. “Chicago” mette alla berlina il mondo odierno dei mass media con una storia legata al passato».
Quali le difficoltà maggiori per portarlo in scena?
«Tra i lavori che ho fatto, questo ha richiesto un grande impegno dal punto di vista della regia. La base da cui partivo era il nulla. Ho dovuto reinventare, riassemblare, lavorare di fantasia. Poi ho deciso che il concept su cui costruire il tutto sarebbe stato il circo. E da lì ho cominciato».
Come ha scelto il cast?
«Non è stato semplice: io ho invitato alcuni artisti che ritenevo validi per i ruoli principali. Per l’ensemble mi sono affidata a Franco Miseria. Gli avevo chiesto donne con gambe lunghe. Lui ha scelto brave cantanti e ottime ballerine. Il risultato finale mi ha soddisfatta».
Lei a che Mama Morton ha dato vita?
«È una sorta di Sally Spectra, il personaggio della soap opera Beautiful: una donna in carne, rossa, tremenda. Le ho dato una connotazione fumettistica. È la seconda volta che sono contemporaneamente attrice e regista. La prima, però, era un’opera di prosa. In questa occasione è stato più complicato alzarmi dalla sedia e mettere i panni del personaggio».
Il musical è il modo di esprimere l’arte che le sta più a cuore?
«Adoro narrare storie. Alla mia maniera. Mi diverto a dirigere spettacoli. Sono stata tante volte in scena. Ho testato il ruolo di attrice sotto tante prospettive. Nel musical, in particolare, ci sono canto e note che arrivano direttamente al cuore del pubblico. Questo aiuta a raccontare più facilmente. Ma non ho una predilezione per un genere o per un altro».
Attrice, regista, cantante, autrice: Chiara Noschese cosa ama di più?
«Dirigere è un insegnamento continuo. La genesi di uno spettacolo è un viaggio meraviglioso. La fatica non si sente quando piace il proprio lavoro. Quando vedo per la prima volta il risultato di un progetto nato mesi prima, mi sento viva».
Che periodo sta vivendo della sua carriera?
«Sono reduce da una stagione molto fitta, all’interno della quale c’è stato anche un film (“Enea”, diretto da Pietro Castellitto, ndr) che mi ha portata alla Mostra del Cinema di Venezia. Mi piace misurarmi con situazioni diverse. Mi fa battere il cuore. Il cinema mi ha regalato forti emozioni».
Le sue scelte sono state influenzate dalla vita di papà Alighiero?
«Lui è deceduto quando avevo 11 anni. All’epoca non avevo alcun tipo di sogno nel cassetto. Certo, la memoria di un padre così importante mi ha spinta verso questo fuoco, verso questa passione. L’ho nei cromosomi. Così, appena diplomata alle superiori, ho iniziato il mio percorso».
Dal papà biologico a quello che, lei stessa, ha definito un secondo papà: Gigi Proietti.
«Gigi è stato un faro, una luce che ci ha illuminato con il suo talento. Volevo essere una sua creatura. Desideravo imparare da lui. Era irresistibile in tutto quello che faceva. Mi ritengo fortunata a essere entrata in quel clan di studenti in cui c’erano anche Insinna, Brignano e Cirilli. Andavo al teatro Sistina a vederlo. E rivederlo. E rivederlo ancora. Fino a sapere il suo spettacolo a memoria. Ma ogni volta imparavo qualcosa».
Pietro Razzini
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