TEATRO
Cristiana Vaccaro sarà ospite martedì 14 maggio alle 21 del circolo cittadino Arci Post dove presenterà il suo ultimo lavoro teatrale «Brutta: storia di un corpo come tanti».
Nato dalla collaborazione con Giulia Blasi, autrice dell’omonimo libro da cui la pièce prende le mosse, lo spettacolo nasce come rappresentazione ironica di una commedia fondamentale.
A Parma c’è curiosità di conoscervi: chi siete? Da dove venite?
«La domanda del gabelliere di “Non ci resta che piangere”… Adoro quel film! Io sono un’attrice e Giulia è un’autrice: ci siamo conosciute grazie a Ugo, collettivo di autrici e attrici molto attivo a Roma fino al lock-down. Io mi sono un po’ innamorata del suo progetto, ho sentito che questo libro che aveva scritto Giulia per certi versi mi somigliasse».
Che cosa hai sentito di comune a te, a un corpo come tanti?
«Brutta racconta della storia di Giulia e del suo corpo che lei chiama “un corpo come tanti” perché questa è una storia che riguarda tutte. Parte dall’infanzia e passa per l’adolescenza coi suoi primi traumi e difficoltà. Da piccoli ci sentiamo tutti bellissimi: ci basta un fiocco in testa per sentirci delle principesse! Poi piano piano a partire dalla mamma, la zia, gli amici e le persone attorno: la storia dei nostri corpi dipende da quello che ci raccontano gli altri».
Questo inevitabilmente apre delle ferite però…
«Apre a delle riflessioni sul corpo delle donne e sulla sensazione di non sentirci mai abbastanza, mai all’altezza. La società patriarcale ci fa credere che la donna sia portatrice di bellezza ed erotismo, mentre l’uomo esiste in quanto potere e soldi. Abbiamo quindi una pressione, siamo costrette a essere sempre l’espressione dell’estetica: così la difficoltà ad accettare il tempo che passa. Le borse sotto gli occhi aggiungono gravitas a un uomo mentre una donna è solo una vecchia».
Si tratta di un retaggio atavico: come facciamo a guarire 3500 anni di storia dell’occidente?
«Oddio, la risposta è “che ne so io” perché la battaglia è ancora lunga. Dobbiamo cercare di fare rete, parlare, sensibilizzare su questo argomento il più possibile. Comprendere che siamo troppo giudicate, soppesate, misurate: un commentare i corpi delle donne che noi stesse attuiamo per prime. Queste dinamiche non sono attivate soltanto dagli uomini e questo è importante dirlo: in questa società il nostro aspetto sembra l’unico punto focale. In un momento storico dove stiamo veramente combattendo in prima linea dobbiamo risolvere un’equazione fondamentale: volerci bene col trovarci belle perché ci sembra impossibile amarci per come ci sentiamo».
Alessandro Frontoni
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