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Intervista

Bobby Solo: «Mio padre amava Verdi e mi voleva notaio»

Bobby Solo: «Mio padre amava Verdi e mi voleva notaio»

di Vanni Buttasi

06 Maggio 2024, 03:01

Roberto Satti, romano, 79 anni, cantante. Chi è? Semplicemente Bobby Solo. Sessant’anni di carriera, la musica nel sangue e «Una lacrima sul viso», che festeggia i 60 anni dalla prima incisione, tra i dischi più venduti ma anche due Festival di Sanremo vinti, nel 1965 con «Se piangi, se ridi» in coppia con The New Christy Minstrels e nel 1969 con «Zingara» insieme a Iva Zanicchi. Tra le curiosità anche il primo musicarello - «Una lacrima sul viso» - diretto da Ettore Maria Fizzarotti accanto a Laura Efrikian. Una carriera decisamente rock come il suo idolo Elvis Presley.

Come ha iniziato la carriera?

«Ho cominciato a 14 anni, per caso: a piazzale delle Muse, a Roma, c’era una bella ragazza, figlia di un giornalista americano, che mi parlava sempre di Elvis Presley mentre all’epoca io conoscevo Celentano, Gaber. Mia sorella, che abitava a Washington, mi spedì alcuni dischi di Presley: così prima il ciuffo, poi una chitarra che cominciai a strimpellare e nacque il mio amore per Elvis. Mi ispiravo al suo lato melodico».

E il nome d’arte?

«Mio padre Bruno, un ufficiale dell’Aeronautica, più volte decorato, molto serio, amava Beethoven, Mozart, Verdi, Puccini e sognava per me una carriera da notaio; mamma Maria, invece, mi vedeva parroco. Mio padre, visto che ero minorenne, diffidò la Ricordi dall’usare il cognome. Vincenzo Micocci decise di chiamarmi all’inglese: da Roberto a Bobby. “Solo Bobby” disse testualmente alla segretaria che capì male e mi ritrovai così ad essere Bobby Solo.

La svolta nel 1964 con «Una lacrima sul viso» al Festival di Sanremo: come è nata la canzone?

Ero in cucina con mamma che stava preparando le patate bollite, seduto sul tavolo in marmo. Avevo scritto un testo non forte ma la musica era molto bella. Mariano Rapetti, il padre di Mogol, mi domandò se avessi una canzone pronta per Sanremo. Lui sentì testo e musica, quest’ultima gli piacque molto. Giulio Rapetti (Mogol ndr) scrisse il nuovo testo in quindici minuti su un foglio a quadretti. Andai a registrare la canzone e poi in gara al Festival».

Ma a Sanremo accadde un clamoroso imprevisto…

«Nella serata finale ebbi un abbassamento di voce, avevo solo 19 anni, ero molto timido, insicuro, con una grande paura di sbagliare. Venni escluso dalla classifica, cantai in playback e fu una grande fortuna. In una sola notte, dopo la mia esibizione al Festival in playback, arrivarono 350mila ordini. “Una lacrima sul viso” vendette due milioni e mezzo di dischi, in totale dodici milioni in tutto il mondo. Purtroppo la musica fu attribuita ad un altro autore (il bibbianese Iller Pataccini, ndr), e così incassai poco di diritti da quel successo mondiale».

Con «Se piangi, se ridi» conquistò la vittoria al Festival nel 1965: fu un risarcimento per il mancato successo dell’anno precedente?

«Può darsi. In quell’edizione di Sanremo, per interpretare “Se piangi, se ridi”, chiesi a due giovani estetiste di truccarmi gli occhi come Presley, mi diedero troppo rimmel: sotto le luci calde un fiume nero scese sulle guance ma fu bravo il regista Romolo Siena a cercare di “coprire” quell’imprevisto. Se ne parlò a lungo di quell’esibizione. Ricordo, con un sorriso, cosa avvenne al Cantagiro; io in auto con mia moglie Sophie, mia mamma con i musicisti: su una fiancata scrissero “Signorina Solo”, lei rispose in modo piccato a quell’”affronto” verso il figlio. Mi piacciono i “casini”, ero contento che ne parlassero».

Tra i numerosi successi che ha interpretato, a quale è più legato?

«Senza dimenticare “Zingara”, canzone con cui vinsi il Festival nel 1969, sono affezionato a “Non c’è più niente da fare”, sigla finale della serie televisiva “Tutto Totò”, in onda nel 1967 sul Programma Nazionale. Ebbi anche l’opportunità di incontrare Totò a Cinecittà durante la lavorazione di un suo film.

Il suo rapporto con Little Tony?

«Condividevamo il sogno americano del rock’n’roll, non abbiamo mai avuto una rivalità. Per le serate Little Tony costava sempre di più, quindi c’era una vera e propria “guerra” tra i manager per gli ingaggi.

Due parole su Gianni Morandi.

«Mi ha regalato con Franco Migliacci “Una domenica d’agosto”, una canzone che ebbe un grande successo nel 1969, riproposta per uno spot negli anni ‘90. Ricordo, con piacere, anche un Cantagiro sulla sua macchina».

E Al Bano?

«Ci fece conoscere Pippo Baudo. Con la mia seconda moglie Tracy, siamo stati da lui a Cellino San Marco: in cucina se la cava molto bene, soprattutto con il pesce».

Un ricordo di Lucio Battisti.

«L’ho conosciuto quando era il chitarrista dei “Campioni”. Venne anche a casa mia all’Eur dove mamma preparò una frittata di cipolle e patate. Si è meritato il successo che ha avuto».

Rimpianti?

«Più che dei rimpianti, ho un sogno: un gospel americano con Tom Jones, un artista che ho conosciuto negli anni scorsi. Venne una sera a casa mia e abbiamo bevuto insieme».

Come giudica la musica leggera di oggi?

«Non conosco bene la musica di oggi, sono imprigionato in quella dal ‘40 al ‘77; da cinque anni non vedo Sanremo».

Vanni Buttasi

© Riproduzione riservata

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